Il saccheggio della Rai. Traduzione integrale esclusiva dell’articolo di Le Monde

Rai

VigilanzaTv è riuscita ad avere l’articolo completo originale di Le Monde – riservato in rete agli abbonati alla testata – relativo allo scandalo del saccheggio delle opere d’arte della Rai. Articolo pubblicato l’11 agosto scorso in Francia e uscito in Italia stralciato in diverse parti che a nostro avviso sono d’interesse pubblico. Per dovere di completezza abbiamo quindi proceduto a effettuare la traduzione integrale dell’articolo che pubblichiamo qui di seguito.

IL SACCO DELLA RAI

Ladri all’opera

Per anni dalle sedi della radiotelevisione italiana, e senza che nessuno se ne accorgesse, sono scomparsi quadri di grandi autori, mobili firmati e sculture. La vicenda, una volta svelata, desta scandalo

Non è il sacco di Roma. È peggio – perfino senza il fuoco, il sangue, le atrocità. Del resto, esiste forse un nemico più avvilente di quello che proviene dall’interno? È un vero e proprio saccheggio… La Rai, “mamma Rai”, la radiotelevisione italiana che si confonde con il Paese stesso, specchio deformato del suo panorama politico e riflesso fedele della sua cultura, si è lasciata depredare per anni senza opporre resistenza. Senza vedere nulla. Senza fare niente. È bastato che un quadro cadesse dalla parete in un corridoio della sede romana di Viale Mazzini perché si scatenasse la tempesta.

In Francia sarebbe un affare di Stato. In Italia non è che l’ennesimo scandalo, che tuttavia tarda a placarsi, simile a un veleno a lento rilascio. L’opera in questione, Architettura, del fiorentino Ottone Rosai (1895-1957), pittore per un certo periodo attratto dal Fascismo, raffigura una manciata di case stilizzate e due cipressi. Durante il lockdown dovuto al Covid-19, si stacca da una parete e va in restauro. Nel maggio 2021, il quotidiano italiano Il Messaggero (articolo di Giuseppe Scarpa, ndt) rivela che si tratta di un falso, ma rende soprattutto pubblici gli esiti dell’indagine dei carabinieri di Roma, seguita a una segnalazione della Rai alla Procura: una razzia del patrimonio artistico dell’azienda che va avanti da decenni.

I carabinieri riescono prima di tutto a identificare il furbastro ex dipendente della Rai che ha commesso il furto del quadro, a quanto pare, negli anni Settanta. Questi ha venduto per 25 milioni di lire (42mila euro circa) l’originale, che ha sostituito con una copia realizzata da un geniale falsario. Al cospetto dell’Arma, il pensionato confessa senza battere ciglio, sicuro della propria impunità: i reati sono finiti in prescrizione da un pezzo. A quel punto entra in azione la TPC (Tutela del Patrimonio Culturale), branca delle forze dell’ordine specializzata nel traffico di opere d’arte. E l’inventario da essa stilato, secondo la stampa italiana, evidenzia la scomparsa, a Roma, a Milano e in altri sedi Rai, di circa 120 opere delle 1500 in possesso della televisione pubblica. Talune sostituite da falsi, molte semplicemente volatilizzate.

Risultano scomparse delle incisioni di Monet, Corot, Modigliani, De Chirico, ma anche sculture, tappeti, mobili firmati. Gli inquirenti congetturano che gran parte dei furti abbia avuto luogo dopo una mostra delle opere della Rai in Puglia, nel 1996. Lo scandalo è tanto più altisonante giacché i tesori dell’azienda, della quale è titolare per il 99.5% il Ministero dell’Economia, sono stati acquisiti grazie al contribuente italiano. Il canone, seppur il più basso d’Europa (90 euro), rappresenta infatti la principale fonte di finanziamento del servizio pubblico. E garantisce ogni anno quasi due miliardi di euro.

Partita nel marzo 2021, l’indagine è senz’altro lungi dall’essere conclusa. Ma la TPC, interpellata da Le Monde, rifiuta di proferire parola al riguardo. La suddetta unità, creata nel 1969, è una delle più affollate. “Il sistema è abbastanza eterogeneo nelle varie parti del mondo” osserva il colonnello Didier Berger, che ha diretto fino ad agosto “l’Office central” della lotta al traffico dei beni culturali a Nanterre. “Noi siamo in 27. Gli italiani sono oltre 250 e dipendono dal Ministero della Cultura, con missioni più importanti delle nostre”. Le operazioni del suo comandante, il generale Roberto Riccardi, sono molteplici.

Un vero e proprio saccheggio

Non più tardi dello scorso venerdì 22 luglio, un’indagine congiunta dell’americana FBI e della TPC ha portato al rimpatrio di numerose opere d’arte. Fra le quali, il Ritorno dell’Arca dell’Alleanza, un arazzo fiammingo del Sedicesimo Secolo, trafugato nel 1995 in una galleria specializzata milanese e ricomparso in una lussuosa villa di Palm Beach in Florida. Ed è rientrato in Italia anche un mosaico romano del Secondo Secolo d.C. raffigurante una testa di Medusa che aveva attraversato l’Atlantico nel 1959 transitando da Los Angeles nel 1980. Il traffico di opere d’arte finanzia notoriamente le associazioni mafiose o il terrorismo. Per esempio, la rapina a mano armata del Museo Archeologico di Napoli avvenuta nel 1977 fu portata a termine con ogni probabilità dalla Camorra. E del lotto recuperato il 22 luglio fa parte uno dei fiori all’occhiello della refurtiva della suddetta rapina, una rarissima moneta aurea del Primo secolo d.C. con l’effigie di Nerone. Un’importante casa d’aste americana si apprestava a metterla in vendita.

Che poi è quello che è accaduto a una delle opere rubate alla Rai, una scrivania dell’architetto, designer e pittore Gio Ponti (1871-1979), realizzata appositamente per la radiotelevisione italiana nel 1951 e battuta all’asta per 70mila euro da Christie’s a Londra il 16 ottobre 2019. Non si sa con precisione per quanto tempo questo pregiato mobile sia rimasto effettivamente nella sede Rai di Milano prima di essere trafugato. Interpellata da Le Monde, la celebre casa d’aste risponde che “in nessun caso metterebbe in vendita un’opera della quale si possano mettere ragionevolmente in dubbio proprietà e autenticità”. Per motivi di riservatezza, Christie’s rifiuta di rivelare l’identità dell’acquirente, ma rimanda al catalogo pubblico della vendita: il mobile è stato acquistato nel 2010 presso la galleria Anna Patrassi, sita a Milano, con titoli di proprietà legittimi. Raggiunta al telefono, la gallerista non ricorda dove abbia comperato quel mobile ma dice di averlo acquisito “forse nel 2007 o nel 2008, non prima”.

Era inevitabile che lo scandalo, sviscerato dalla stampa tradizionale e da svariati siti e trasmissioni televisive popolari, prendesse una svolta politica. Il 13 marzo 2021 l’allora Direttore Canone e Beni artistici della Rai Nicola Sinisi, 66 anni, viene interpellato per la strada dal giornalista satirico Pinuccio, alias Alessio Giannone, che ha svelato taluni aspetti della vicenda. Ai microfoni dell’inviato speciale di Striscia la Notizia, l’alto funzionario si rifiuta di commentare – “C’è un’inchiesta della Magistratura” – ma con una certa giovialità assicura che: “L’importante è che un patrimonio di un’azienda d’interesse pubblico possa essere visto da tutto il pubblico”. Ride un po’ meno però quando viene audito dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai, il 22 giugno 2021.

E a sei mesi dalla pensione, decide di denunciare. Sottolinea che la Rai (compresi i suoi dirigenti) non ha la benché minima idea del valore del patrimonio in suo possesso. Racconta che diversi direttori hanno visto scomparire le opere d’arte dalle loro stanze senza battere ciglio né reagire. “È un vero e proprio saccheggio”. Scrivanie, secrétaire, poltrone, firmati o di valore, si sono volatilizzati. Tutto questo patrimonio è stato acquisito principalmente negli anni Cinquanta e Sessanta e perfino negli anni 2000, grazie al canone pubblico, insiste. E pone un interrogativo: “Perché tutti questi beni devono restare nelle stanze dei direttori, degli amministratori, dei capi, perché?”. Nicola Sinisi sgancia anche una piccola bomba: questi furti sarebbero stati impossibili senza la complicità di un basista interno.

E quando scoppia una polemica che – rispetto ai furti reiterati nell’azienda di Stato – appare ridicola, Sinisi esplode. A Natale 2020 diversi media e parlamentari hanno criticato i 36mila euro spesi dalla Rai per un effervescente presepe pop dell’artista Marco Lodola – dove Maria ha i connotati della cantante Gigliola Cinquetti, e i pastori quelli di Luciano Pavarotti o di Freddie Mercury – che non è mai stato esposto a Viale Mazzini. Lo stesso scultore, esasperato dalle controversie relative a quel presepe giudicato da taluni troppo laico, ha deciso di non installarlo alla Rai come previsto, bensì nel prestigioso Museo degli Uffizi a Firenze, che lo ha accolto a braccia aperte. I 36mila euro spesi sono serviti a pagare trasporto, personale, materiali, “ma non il maestro, un artista noto in tutto il mondo, che non aveva chiesto nulla” precisa Sinisi di fronte a Deputati e Senatori della Commissione di Vigilanza.

Queste opere erano morte

Peccato però che l’ex Ad della Rai Fabrizio Salini avesse assicurato, rispondendo all’epoca a un’interrogazione parlamentare, che il progetto del presepe non era mai stato autorizzato ufficialmente. Il che fa infuriare Nicola Sinisi: “Tu puoi anche cambiare opinione. […] Ma rispondere ad una interrogazione parlamentare con un chiaro falso per me è una roba inammissibile” tuona, mettendo a disposizione degli onorevoli membri del Parlamento “cinque volumi di documentazioni cartacee che lo provano”.

La commissione di Vigilanza è sbalordita di fronte ai fatti “particolarmente gravi”, i furti, l’incuria, le menzogne, che le vengono presentati, come sottolinea il suo Presidente. Michele Anzaldi, deputato centrista vicino all’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi e molto attivo sul dossier in questione, esclama: “In una qualunque famiglia, quando entrano i ladri, si prendono dei provvedimenti, si mettono le sbarre, si mette l’antifurto… Ma lei ha detto che certi dirigenti erano lì e non hanno fatto niente! Dovete fare trasparenza su questi misfatti…”

Ma la reazione della Rai nei confronti del suo direttore Canone e Beni Artistici, quella sì, non si fa attendere. Nel luglio 2021, Nicola Sinisi viene prima di tutto sospeso, poi licenziato dal nuovo Ad Carlo Fuortes, appena insediatosi. Alcuni interlocutori della Rai contattati da Le Monde non hanno dato disponibilità a rispondere alle nostre domande. L’ufficio stampa dell’azienda ha infine dichiarato che è in corso un audit interno.

“Pensare che opere del calibro di un Monet o di un Modigliani siano potute scomparire, e che nessuno l’abbia scoperto prima, ha dell’incredibile” si scandalizza lo storico dell’Arte Tomaso Montanari. A suo parere, i suddetti furti avvenuti nel corso degli anni dimostrano fino a che punto la cultura abbia scarsa importanza nella televisione pubblica. “Queste opere erano morte, non le guardava nessuno”.

E tuttavia è stata la Rai l’artefice dell’unificazione linguistica italiana, a realizzare l’adattamento televisivo dei capolavori della letteratura o del teatro. “Oggi è in bancarotta culturale. E a fare da capro espiatorio è proprio colui che ha rotto il silenzio” prosegue lo storico dell’Arte. Secondo il quale, anche se i reati sono caduti in prescrizione, sarebbe opportuno avviare un’azione legale per comprendere come ciò sia accaduto e per lavare pubblicamente l’onta di fronte ai cittadini. “La stessa Rai, con il suo potere mediatico, dovrebbe farsi promotrice di inchieste giornalistiche per far emergere la verità”. E per recuperare l’onore perduto. A meno che la verità non sia troppo sconvolgente”. 

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