Con la storia di Nicola, Domenico Iannacone tocca i vertici della sua arte

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Domenico Iannacone con Nicola in Che ci faccio qui su Rai3

di Marco Zonetti 🖋️

Se il regista Martin Scorsese, ispirato dai film del neorealismo italiano che vedeva da bambino su un piccolo televisore a casa dei genitori, assistesse alla puntata di Che ci faccio qui dal titolo L’amore perduto, andata in onda ieri sera, sabato 23 aprile 2022 (qui il link su RaiPlay per rivederla), riconoscerebbe nel racconto della storia travagliata di Nicola documentata per immagini da Domenico Iannacone, echi dei film di Vittorio De Sica, di Roberto Rossellini, Pietro Germi, Luchino Visconti.

Introdotta dalla visita del giornalista/regista al mirabile Mirko Frezza, attore dal passato tormentato che nella sua nuova vita s’impegna con la sua associazione a Casale Caletto, quartiere periferico di Roma segnato da indigenza e precarietà, dove le case intrise di umidità si sfaldano e arrivare a fine mese è un’incognita, la narrazione delle vicissitudini di Nicola, un uomo di 45 anni di cui 27 trascorsi in carcere, ha rievocato la poesia immaginifica dei grandi registi del neorealismo italiano.

La frase The man with child in his eyes, titolo di una canzone di Kate Bush, esprime alla perfezione chi è Nicola. Un uomo dagli occhi di bambino, un bambino cui è stata negata l’infanzia. Fin da piccolissimo, infatti, proveniente da una famiglia difficile legata alla malavita pugliese, egli ha conosciuto soprusi, maltrattamenti, quindi l’avviamento alla criminalità, prima con il contrabbando di sigarette, poi di armi, fino a essere costretto – a 12 anni – a sparare alla propria madre. Da quel momento in poi, la sua giovane vita si è divisa tra riformatori e carceri, in un crescendo di sofferenze, abusi e totale negazione di amore e affetto.

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Domenico Iannacone, Nicola e Mirko Frezza

Nell’ascoltare le confessioni di Nicola sulla sua tragica esistenza, Domenico Iannacone è riuscito, come sempre ma a maggior ragione in questo caso, a mantenere uno sguardo partecipe senza indulgere nel pietismo. E nel dare la parola all’uomo dagli occhi di bambino, nel concedergli di aprire il proprio cuore, è come se magicamente il giornalista e regista fosse riuscito a restituirgli finalmente la dignità di essere umano uguale a tutti gli altri e a fargli dono della speranza. Più volte Nicola ha sottolineato come egli non abbia conosciuto la fanciullezza; come non abbia mai sorriso da bambino; come non riesca a riconoscersi nel mondo fuori del carcere, un mondo profondamente cambiato da quando l’ha lasciato per lunghi, terribili anni di reclusione nelle case circondariali; come abbia “paura della libertà”. Un paradosso che Nicola vive sulla sua pelle, come le tante cicatrici che la segnano.

Il suo racconto della paura di “essere libero” è stata una delle tante vette toccate dalla puntata di Che ci faccio qui, forse la più sublime. Ci auguriamo che Nicola possa comprendere quanto la sua storia sia d’esempio universale, per tutti, anche per chi ha avuto un’infanzia felice, anche per chi ha vissuto tra gli agi, anche per chi è stato amato. E speriamo che Nicola possa rendersi conto di come, protetto dalla delicatezza di Domenico Iannacone che gli ha posato sulla testa la mano di un angelo, sia riuscito a toccare gli animi degli spettatori; di come tutti coloro che lo hanno sentito raccontare il suo dolore si siano immediatamente affezionati a lui; di come chiunque abbia ascoltato la sua storia gli abbia subito voluto e gli voglia bene, augurandosi che possa ritrovare “l’amore perduto” e raggiungere la serenità che merita. Che possa finalmente volare sulle “ali della libertà”, per citare un altro meraviglioso film.

E per chi s’interroghi su chi, più di tutti, abbia fatto tesoro dell’arte dei grandi narratori per immagini italiani, quei maestri del neorealismo che tutto il mondo continua a invidiarci e ne abbia ereditato il talento, la risposta non può essere che: Domenico Iannacone.

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