di Marco Zonetti
L’attuale conclamata debolezza di Giuseppe Conte, neo leader del M5s, è tutta in quella corsa a Napoli per abbracciare a favore di telecamere Gaetano Manfredi, candidato sostenuto dal Pd e dai grillini, eletto sindaco al primo turno. Coadiuvato dalle riprese amiche di La7 durante la maratona di Enrico Mentana, ecco che nel comitato del vincitore partenopeo l’avvocato del popolo (sempre più esiguo) si godeva il suo bagno di folla quotidiano, cercando di occultare la cocente delusione per i risultati delle amministrative e suppletive del 3-4 ottobre.
Un autentico bagno di sangue per il Movimento (specie nei luoghi del tour elettorale di Conte, come fa notare Aldo Torchiaro sul Riformista), un risultato da prefisso telefonico, il fiasco peggiore fin dal 2013, e guarda caso conseguito proprio sotto la leadership di Conte, quello dei milioni di like, di commenti, di condivisioni ai tempi del suo abbandono di Palazzo Chigi. Un patrimonio virtuale che non si è minimamente consolidato in voti effettivi e che minaccia di essere una scatola vuota che non lo porterà politicamente da nessuna parte.
Da notare come, a Roma, parallelamente al flop della Raggi – sostenuta fin dalla prima ora da Conte – si dipanava invece l’exploit di Carlo Calenda, appoggiato dal nemico pubblico numero uno di “Giuseppi”, ovvero Matteo Renzi. Quello stesso Renzi che ha posto una brusca fine ai sogni di gloria dell’ex Presidente del Consiglio grillino, innescando una crisi che ha poi portato all’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Quel Draghi che è invece dato come indiretto vincitore delle elezioni di domenica e lunedì scorsi.
Allontanato per mano di Renzi dalle Istituzioni, privato dell’apparato mediatico messogli proditoriamente a disposizione dal Servizio Pubblico Radiotelevisivo, e soprattutto dal Tg1 in quota M5s con quelle reiterate sequenze celebrative stile Minculpop realizzate da Rocco Casalino a Palazzo Chigi e denunciate dal Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi, Conte ha perduto via via la ragione del suo consenso cementatosi durante la pandemia.
Nel momento in cui infatti, con l’avvento di Draghi, gli italiani hanno visto che esisteva una più efficace strategia per fare la guerra al Covid-19 rispetto a quella messa in campo da “Giuseppi” e dal suo entourage, ecco che l’aura di “salvatore della patria” è andata via via scemando, lasciando solo quella di “personaggio pubblico”. Status che gli permetterà anche di restare un idolo delle folle – qual è del resto anche l’ultimo reduce di un reality show – ma che non è garanzia di voti alle urne, come dimostrato in queste recenti elezioni.
Elezioni nelle quali, da motore trainante del nuovo corso del M5s alleato con il Partito Democratico, Conte si è trasformato nell’anello debole del connubio tra pentastellati e dem. E tutto questo in pochissimi mesi: questo sì, un record.