di Antonio Facchin
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A pochi giorni dal voto per rinnovare i vertici dell’Unione Europea, mentre in Italia si discute sull’opportunità di campo di un duello mediatico tra la premier e la leader del principale partito d’opposizione – candidate “d’immagine” perché una volta elette in quanto capoliste, non andranno a Bruxelles – non si parla invece di programmi. Come se la mera aderenza a uno schieramento politico fosse già di per sé un programma. Più di una voce si è sollevata – e una è quella di Mario Draghi – esprimendo la volontà di “cambiare” l’Europa. Ma poi la maggioranza degli elettori non ha avuto chiaro come; e tantomeno c’è stata la precisa volontà di farlo visto che Draghi non è presente nelle liste elettorali.
Il sistema proporzionale dietro le candidature d’immagine
Il sistema proporzionale – quello stesso che autorizza candidature d’immagine – farà sì che le segreterie di partito decideranno chi mandare a Bruxelles, con la necessità di inviarvi (o restituirvi) politici rodati, privandosene in Patria. Questo perché l’Unione Europea esige seri professionisti della politica, alla luce delle responsabilità che il ruolo comporta e del peso del lobbismo sulle politiche comunitarie. Lobbismo che non ha mai rappresentato un esempio di tutela democratica delle decisioni.
Come se per molti l’Europa fosse un mero centro d’affari. Basti pensare agli interessi che gravitano nella sfera alimentare, come documentato dal film d’inchiesta Food for Profit, ma anche in qualsiasi altro comparto che richiami interessi finanziari, poiché in Europa raggiungono il massimo della loro espressione. Non sorprende dunque che fra i tanti politici nostrani in lista, uno pronto a recarvisi – stando almeno alle sue ultime dichiarazioni – sia Matteo Renzi, già senatore e “ambasciatore d’eccezione” in Medio Oriente.
Misinformazione e disinformazione in Europa (e nel mondo)
Ma c’è un allarme più importante lanciato dalla Commissione europea: un sensibile aumento di misinformazione – la mistificazione dell’informazione, sia in termini di quantità che per qualità – di cui Russia, Cina e Iran sarebbero i principali attori; uniti per influenzare anche le prossime elezioni americane. Ne ha scritto Alberto d’Argenio su Repubblica all’indomani dell’attentato al premier slovacco Robert Fico e dell’allarme lanciato anche dalla direttrice dell’Intelligence americana Avril Haines, per cui le due elezioni più importanti per l’Occidente risulterebbero “sotto attacco delle autocrazie guidate da Putin, Xi e Khamenei. La posta in gioco è la tenuta democratica delle nostre istituzioni. Tanto che ormai da mesi Mosca, Pechino e Teheran hanno lanciato un’operazione per favorire, ovunque possibile, la vittoria dei candidati più divisivi e anti sistema, in grado di aumentare le spaccature nelle nostre società per appoggiare la guerra di Putin in Ucraina”.
Pronta la risposta di Bruxelles che – come riportato su Repubblica – ha deciso un’imminente, ulteriore, stretta sui media che diffondono la “narrativa del Cremlino”. Ma a netta riprova della centralità delle operazioni d’influenza nelle strategie espansionistiche moscovite, non si è fatta attendere la minaccia di “ritorsioni rapide e dolorose” in alcune dichiarazioni di Maria Zakharova, la portavoce del Ministero degli Esteri russo.
Una precisa strategia mediatica
La strategia mediatica scelta da Mosca e alleati consisterebbe nello sfruttare fatti veri o verosimili per dividere le opinioni pubbliche; cavalcare dunque dibattiti, anche accesi – normali in società democratiche – per estremizzarli, al fine di spargere caos, violenza e senso d’insicurezza; favorendo così l’ascesa dei partiti populisti e sovranisti che – com’è noto – sono filorussi. In quest’ottica va letta anche la linea narrativa che Dimitri Medvedev, oggi numero due del Consiglio di Sicurezza di Mosca e responsabile della propaganda del Cremlino, ha dettato a troll e bot sull’attentato al premier slovacco: questi, con l’ungherese Viktor Orbán tra i leader dell’Unione contrari a inviare aiuti militari a Kiev, sarebbe diventato un bersaglio in virtù di questa sua “ragionevolezza” e non perché dichiaratamente contrario al governo di Putin, stando almeno all’evidenza.
Alludendo poi a una velata responsabilità nell’attentato da parte di Macron, Sunak, Scholz e von der Leyen e, ultimo ma non per importanza, Zelensky. Nomi cui è stato associato un messaggio intriso di propaganda che ha dilagato in rete alimentando il sentimento anti-europeista. Sentimento indissolubilmente legato a quello anti-scientifico di pandemica memoria, cui hanno fatto seguito quello razzista, che ha trovato sottile espressione negli attacchi alle organizzazioni non governative dei soccorsi in mare, al complottismo tout court. Ma anche nella malcelata opposizione all’informazione mainstream e – dopo il progrom del 7 ottobre – nell’aumento esponenziale di antisemitismo; il tutto espresso in hate speech.
Violenza chiama violenza
E, purtroppo, dalle parole ai fatti il passo è breve: anche l’attentato a Robert Fico, il premier slovacco, nonostante sia attribuito al momento attuale a un “lupo solitario”, potrebbe rientrare in una casistica più ampia: quella tedesca. In Germania, “dove l’ultra destra dell’Afd sparge propaganda di presunta matrice moscovita condita da ammiccamenti alla retorica nazista” come D’Argenio riporta “dall’inizio dell’anno sono stati registrati ben 22 attacchi con danni fisici a esponenti politici”.
Alla luce dei fatti suona ancora più importante lo slogan Use your vote, scelto dall’Unione Europea per questa consultazione elettorale, a difesa della tenuta democratica delle nostre istituzioni; soprattutto se di garanzia come quella europea. Ma basterà, almeno in Italia, a conquistare chi fa dell’astensionismo la propria forma di protesta?