di Marco Zonetti 🖋️
Il Tg5, storico notiziario di Canale5, compie trent’anni. Tanti ne sono trascorsi dalla prima trasmissione dell’ambizioso telegiornale del Biscione, grazie al quale la Rete Ammiraglia fondata da Silvio Berlusconi acquisiva infine l’autorevolezza di fonte d’informazione quotidiana, forte anche della Legge Mammì che permetteva alle Tv commerciali di trasmettere in diretta.
Sfidando la Rai nel campo che fino ad allora la rendeva sovrana incontrastata per quanto riguardava l’approfondimento giornalistico dell’attualità, della cronaca e della sfera politico-istituzionale, la sera del 13 gennaio 1992, il direttore Enrico Mentana andava in onda per la prima volta al timone del Tg5, capeggiando la squadra dei fondatori composta fra gli altri da Cesara Buonamici, Emilio Carelli, Cristina Parodi, Lamberto Sposini, e Clemente J. Mimun. Quest’ultimo attuale direttore del notiziario fin dal 2007, dopo aver ereditato il testimone da Carlo Rossella, che a sua volta aveva sostituito Mentana nel 2004.
Intervistato da Radio Radicale sul trentesimo imminente compleanno del notiziario di Canale5, Mimun definisce la storica squadra come “un gruppo d’incoscienti”, sottolineando la precarietà dell’operazione, che tuttavia il giorno dopo fu premiata dal miracolo di aver battuto l’istituzione giornalistica per eccellenza, ovvero il Tg1 dell’Ammiraglia Rai. Da allora, il resto fu Storia, come si suol dire, con numerosi volti avvicendatisi alla conduzione fra cui Didi Leoni, Salvo Sottile, Alberto Bilà, Annalisa Spiezie, Simona Branchetti, Chiara Geronzi, Francesco Vecchi, Paola Rivetta, Elena Guarnieri, Paolo Trombin, Andrea Pamparana, per citarne solo alcuni, collaboratori come Toni Capuozzo e così via.
Dal racconto di Mimun, si apprende che all’epoca Berlusconi fece una scommessa piazzando il neonato e implume Tg5 delle 13.00 (condotto da Cesara Buonamici, Emilio Carelli e Cristina Parodi) contro il Tg2 che in quella fascia oraria faceva il 40% di share, e l’edizione serale condotta da Mentana, Parodi e Lamberto Sposini contro il Tg1 che otteneva più o meno le stesse percentuali. Con mezzi marginali, e con il vincolo del rispetto assoluto del budget, a differenza di altri programmi. Una scommessa che si rivelò vincente.
Ogni volta che il Tg5 faceva degli “exploit“, rammenta l’attuale direttore, “dall’altra parte erano disperati”. In generale, l’esperienza del notiziario Mediaset dimostra che “un gruppo coeso può convivere per molti decenni e fare buon prodotto”, e che occorre puntare su un prodotto non improvvisato, linea di condotta che invece attualmente – per l’aumento dei costi e la necessità di risparmiare – i grandi gruppi editoriali tendono ad adottare sempre più. Mimun insiste anche sull’importanza dell’innovazione tecnologica favorita da Mediaset, con i giornalisti che scrivono e che sono in grado anche di montare i propri servizi autonomamente, come avviene nelle grandi emittenti internazionali. Il tutto secondo la tradizione di Mediaset che si pone fra i principali obiettivi proprio quello di ammodernare costantemente le tecnologie.
Passeggiando sul viale dei ricordi, Clemente J. Mimun tira anche un bel sassolino alla Rai, sottolineando come nel 1992 al Tg5 fossero “già meno della metà” rispetto alle testate giornalistiche Rai, alludendo alla panoplia di “graduati” che caratterizza invece le redazioni dei notiziari della Tv di Stato, con la loro pletora di direttori, vicedirettori, caporedattori, vicecaporedattori e così via. Ricordiamo recentemente a tal proposito, la spedizione monstre di 71 persone inviata alle Olimpiadi di Tokyo (ciò malgrado, non riuscendo a evitare i tanti svarioni criticatissimi dai telespettatori, le gare trasmesse a pezzi e bocconi, e l’impossibilità di rivederle su RaiPlay, tanto da indurre il Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi a chiedere un’indagine sui responsabili dei molti disservizi); quella di tredici persone per seguire le ultime presidenziali americane malgrado la presenza di quattro corrispondenti fissi negli Stati Uniti, e la levata di scudi sul taglio annunciato in anteprima da Dagospia (ma poi abbandonato per via delle polemiche) alle delegazioni di giornalisti Rai a seguito delle trasferte papali, levata di scudi grazie alla quale abbiamo scoperto che in Rai ci sono ben dodici vaticanisti a nostre spese.