Il potere della risata. Il riferimento alla Commedia dell’Arte è divenuto fondamentale per comprendere la politica italiana moderna, nella quale uomini e donne di potere interpretano il proprio ruolo di maschere
Articolo di Francesco Maselli pubblicato su L’Opinion l’11 agosto 2022 – Traduzione di Marco Zonetti
In un racconto satirico pubblicato nel 1954, lo scrittore Ennio Flaiano narrava le disavventure di Kunt, un Marziano sbarcato a Roma. Diventa una celebrità, è ricevuto dalle autorità, tutta la città parla di lui, i giornali seguono le sue vicissitudini e le sue gesta… per poi disinteressarsene rapidamente. Nel giro di quattro mesi, deriso e ignorato, Kunt decide di ripartire, deluso dal cinismo degli italiani che si rifiutano, in fin dei conti, di provare interesse per dei personaggi troppo lontani dal loro immaginario, una volta esaurito l’effetto della novità.
Mario Draghi è, in un certo senso, il Marziano della politica italiana di questi ultimi anni: estraneo com’era a questo grande teatro quotidiano, del quale i palazzi del potere romani sono lo scenario principale. L’ex presidente della BCE, seppur dotato di un fine senso dell’umorismo, non aveva nulla a che vedere con le maschere della Commedia dell’Arte, genere fondamentale per comprendere la politica italiana moderna. “In questo Paese tutto viene preso sul serio, tranne le cose serie”, diceva ancora Ennio Flaiano. Aforisma che ben riassume il carattere nazionale. E tuttavia, la beffa non ha sempre avuto posto in politica: ai tempi della Prima Repubblica (1946-1994) gli uomini di Stato erano molto attenti alla propria credibilità. Difficile immaginare all’epoca un presidente della repubblica che, come Georges Pompidou, si divertisse a seminare la sua scorta al volante della sua Porsche. Aldo Moro, allora presidente del Consiglio, non si toglieva mai giacca e cravatta, nemmeno per passeggiare sulla spiaggia.
È con Silvio Berlusconi che cambia tutto. All’inizio degli anni Ottanta, il Cavaliere è un imprenditore di successo, tra le personalità più popolari in Italia grazie all’introduzione della televisione commerciale in un Paese che ha fretta di evadere dalla “grisaglia” impostagli dal sistema politico, che aveva ritardato l’arrivo del colore sul piccolo schermo fino al 1977, ossia dieci anni dopo la Francia.
Corna. La televisione di Berlusconi costituisce una sorta di liberazione e segna l’inizio della contaminazione della politica con la commedia all’italiana: «Egli incarna alla perfezione la maschera della Commedia dell’Arte e del cinema italiano», sottolinea il professor Andrea Minuz, docente di Storia del Cinema e dei Media all’Università La Sapienza di Roma. «I protagonisti comici del cinema italiano non sono mai dei personaggi positivi: ci divertono, ma le loro azioni sono inqualificabili. Le barzellette del Cavaliere, spesso volgari, rientrano pienamente in questa linea.»
La sua presenza ingombrante calamita tutta l’attenzione: ha l’abitudine di fare il gesto delle corna piazzando la mano dietro la testa di chi viene fotografato, di rivolgere commenti fuori posto alle mogli dei suoi invitati nel corso di riunioni pubbliche, o ancora di trasformare i summit internazionali in occasioni di grasse risate. Le sue conferenze stampa e le sue riunioni sono costellate di barzellette triviali, celebri al punto da fornire, quest’estate, il materiale di un podcast diffuso dal quotidiano Libero.
Ultimo avatar in ordine di tempo della suddetta scuola è Matteo Salvini. Puro prodotto della televisione commerciale, il leader della Lega, in gioventù, ha partecipato ad alcuni quiz televisivi sui canali Mediaset, prima di divenire a sua volta un personaggio di questa commedia, orgogliosamente sovrappeso e immancabilmente intento a mangiare qualche piatto tradizionale italiano, brutale ma al tempo stesso sempre pronto a mostrarsi devoto alla Chiesa.
Acredine. Il comico Beppe Grillo, dal canto suo, rappresenta un fenomeno distinto. Negli anni Ottanta, egli incarna perfettamente il buffone tradizionale, capace di dire dagli schermi della Rai tutto il male possibile del potere. Forse troppo: estromesso dalla televisione pubblica nel 1993, deve in seguito rifarsi una carriera al di fuori dei circuiti tradizionali, e inizia così a mischiare la satira ai messaggi politici. Parla con acredine di economia, di ambiente e di corruzione e, a poco a poco, il pubblico inizia a prenderlo sul serio. Quando nel 2004 incontra l’informatico Gianroberto Casaleggio, si rende conto che i suoi spettacoli possono aprigli uno spazio politico. Nel 2009 i due fondano il Movimento 5 Stelle, e si piazzano in testa alle elezioni legislative nel 2018.
«Grillo è un puro prodotto della satira politica», analizza Giovanna Cosenza, semiologa dell’Università di Bologna. «Utilizzava toni caustici nei confronti del potere e nelle sue battute esprimeva collera. E in fondo, il Movimento 5 Stelle è riuscito a dar voce a questa rabbia». Il suo percorso politico ha quindi poco a che vedere con l’umorismo all’italiana: è invece il moralismo tradizionale della sinistra italiana che finirà per caratterizzare l’avventura del M5s, i cui vertici non hanno alcun senso dell’umorismo, men che meno in pubblico. Il che rivela molto del paradosso italiano, prosegue Andrea Minuz: «Un partito fondato da un comico ha generato la classe politica più moralista, seriosa e noiosa della storia della Repubblica.»
La politica assomiglia talmente al teatro comico, che la principale trasmissione di approfondimento del Paese, «La maratona Mentana» – dal nome di Enrico Mentana, principale giornalista e conduttore della televisione italiana – riprende alcune caratteristiche di quest’ultimo. Il suo programma, durante i periodi d’intensa attualità politica, dura tutta la giornata e segue passo passo le trattative politiche, le crisi parlamentari, gli avvicendamenti dei governi. Una sorta di pièce ben studiata, dove tutti i partecipanti interpretano un ruolo ben definito, gli inviati sul posto amichevolmente sbeffeggiati da un Enrico Mentana in grado di tenere la scena da solo per ore e ore con l’ausilio di personaggi politici che compaiono di tanto in tanto di fronte alla telecamere per analizzare la situazione, prestandosi al gioco con ironia.
«Intrallazzi». Secondo Andrea Minuz, la suddetta trasmissione rappresenta un concentrato del carattere nazionale: «La politica è l’ultima narrazione collettiva che metta assieme personaggi molto diversi tra loro. In Italia non esiste più il grande cinema né lo “star-system” come negli Stati Uniti o in Francia, poiché tutto è stato fagocitato dalla politica, o meglio dalla narrazione della politica: gli italiani adorano i tradimenti, gli intrallazzi, la tattica…»
Fin dall’aprile scorso tutto questo teatro viene documentato da un profilo Twitter «Crazy ass moments in Italian politics», che prende in giro i momenti più bizzarri della politica italiana. Il titolare dell’account, che preferisce restare anonimo, dice di aver «iniziato per gioco», ma i 45mila follower conquistati in meno di quattro mesi sono emblematici di quanto spazio occupi la risata sulla scena politica italiana: «Il materiale è sconfinato, c’era bisogno di un posto dove raccogliere tutto. Ed è anche un esperimento satirico che mira a portare un po’ di serietà: prendere in giro le abitudini stravaganti dei nostri politici può, alla fine, indurli ad aprire gli occhi”. L’account, in inglese, ha anche trovato un suo pubblico all’estero: «Circa il 35 % dei follower non sono italiani perché certe situazioni sono quasi incredibili».
Alla vigilia delle dimissioni, Mario Draghi ha raccontato una barzelletta ai corrispondenti della stampa estera: «Mi viene in mente la storia di un uomo che sta aspettando un trapianto di cuore. Gli dicono che è disponibile il cuore di un giovane di 25 anni in splendida forma e quello di un banchiere centrale di 86 anni. ‘Scelgo il secondo’, dice l’uomo. ‘E perché?’ gli domandano i medici. ‘Perché non è mai stato usato!’». Mario Draghi che racconta una barzelletta? Mica poi tanto credibile agli occhi della stampa. L’ex presidente del Consiglio resterà decisamente un Marziano.