Pietre d’inciampo: su RaiStoria Annalena Benini racconta la Shoah in Italia

Pietre d'inciampo: su RaiStoria annalena benini
La pietra d’inciampo di Angelo Anticoli

Abbiamo più volte espresso il nostro plauso per l’importante funzione di servizio pubblico di RaiStoria, della sua programmazione e dei suoi protagonisti (vedi per esempio qui). Sottolineando come la sola conoscenza della storia ci consenta di intervenire sul suo corso, nel suo carattere ciclico, affinché non si ripetano i gravi errori del passato. E come, anche da singoli cittadini, ne abbiamo tutti la responsabilità.

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Le pietre d’inciampo delle famiglie Procaccia, Pacifici e Molco

Oggi abbiamo la preziosa occasione di promuovere una sua prima importante. Pietre d’Inciampola prima docu-serie ad argomento storico, stasera in onda alle 20,45 su RaiStoria, canale 54. Condotta da Annalena Benini, ideata e prodotta dalla Stand By Me di Simona Ercolani, a partire dal 15 ottobre per sei giovedì sera, ci riporterà in un recente passato. Sei puntate documenteranno le vicissitudini di sei famiglie vittime della Shoah e della persecuzione nazifascista in Italia cui sono state dedicate altrettante pietre d’inciampo.

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Annalena Benini

Le pietre d’inciampo

Nate dall’iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig, le pietre d’inciampo sono “sanpietrini” su cui è stata applicata una piastra in ottone a ricordo di alcune vittime della persecuzione nazifascita. A segnalare quelle che furono le abitazioni, o i luoghi di lavoro, di alcuni fra i tanti ebrei, oppositori politici, militari, rom e sinti, omosessuali deportati nei campi di sterminio o giustiziati.

Ciascuna di queste pietre, più di 1.300 solo in Italia, rappresenta e tramanda una storia di discriminazione e crudeltà, di vite distrutte e di famiglie separate. E Annalena Benini, già nota al pubblico di RaiTre per Romanzo Italiano, ci condurrà nell’intimo – benché doloroso – ricordo di sei storie emblematiche. Avvenute a Milano, Livorno, Viterbo, Roma e Napoli.

Storie di deportazione

Sei storie ricostruite grazie alle interviste ai famigliari dei protagonisti, con l’ausilio delle loro lettere e fotografie, ripercorrendo luoghi simbolo della persecuzione nazi-fascista. Come il binario 21 della Stazione Centrale, il carcere di San Vittore a Milano o le strade del ghetto ebraico di Roma. E proprio da qui parte il “nuovo” viaggio della Benini. Dalla storia di Angelo Anticoli, orafo di Roma scampato al rastrellamento del 16 ottobre del 1943, ma catturato dalle truppe tedesche qualche mese dopo, mentre tentava di raggiungere la famiglia nascosta nel Convento delle Suore di Santa Francesca Romana. Catturato, Anticoli fu deportato ad Auschwitz da cui non tornò.  

Nelle puntate successive si racconterà anche la storia di Frida Misul, una ventenne appassionata di musica lirica che, incarcerata a Fossoli (un piccolo centro urbano in provincia di Modena) e deportata ad Auschwitz, si salverà solo grazie al suo talento.

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Storie di Resistenza

Ma non mancheranno storie di Resistenza, come quella di Spartaco Pula, verniciatore e giovane padre di famiglia che, durante l’occupazione nazista di Roma, si unì al Gruppo di Azione Partigiana guidato dal fratello prima di finire tra le vittime delle Fosse Ardeatine.

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O la storia di Andrea Schivo, guardia del carcere di San Vittore – dove venivano rinchiuse le famiglie ebree milanesi in attesa della deportazione – che, insieme alla moglie, ogni giorno, portava cibo e conforto ai detenuti stremati dagli stenti. Questo, fino alla scoperta e deportazione a Flossenbürg in Germania, passando per quel Binario 21 della Stazione Centrale su cui hanno transitato le sorti anche delle famiglie Procaccia, Pacifici e Molco.

Tre generazioni (nonni figli e nipoti) che, dopo aver trovato riparo dai bombardamenti su Napoli in un casale in Toscana, vennero traditi e consegnati alle guardie fasciste. Queste li condurranno fino a Milano e poi da lì ad Auschwitz. Una famiglia di 11 persone di cui solo 2 sono sopravvissute. Ed è proprio grazie ai quei pochi sopravvissuti ancora in vita – una fra tutti Liliana Segre – se abbiamo la possibilità di “condividere” tutto questo perché non si ripeta. Mai più. 

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La lettera con la notizia della morte di Angelo Schivo per maltrattamenti a Flossenbürg

Antonio Facchin

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