Quando la Tv “maltratta” i concorrenti. Da Mario Riva a Bonolis (passando per Corrado)

Paolo Bonolis e Luca Laurenti in Ciao Darwin

Se mai avessimo pensato che lo sberleffo e talvolta “l’abuso” dei concorrenti fosse una prerogativa della tv di oggi avremmo commesso quantomeno un’ingenuità. Per la semplice ragione che, pur con il suo inconfondibile garbo, già il Corrado de La Corrida con alcuni concorrenti non scherzava. O meglio, scherzava fin troppo sottolineandone il ridicolo. Ma lì si andava da “dilettanti allo sbaraglio”, e in piena consapevolezza che si poteva salire alle stelle, o più facilmente finir alle stalle. E poi La Corrida, prima di essere una trasmissione televisiva, negli anni Sessanta era stata un successo in radio.

Sta di fatto che anche per il critico televisivo Aldo Grasso si trattava di un “grande esempio di tv «cattiva» mascherata dalla più melensa bonomia”.

Canale 5 suggella un passaggio di testimone

Lo sberleffo e “l’abuso” dei concorrenti, dicevamo, è un fenomeno televisivo che ha raggiunto livelli paradossali con Ciao Darwin grazie all’intelligente e colto cinismo di Paolo Bonolis, che più di una volta ha messo a dura prova, anche fisica, i partecipanti alle sue trasmissioni. Sabato 3 ottobre 1998, in prima serata su Canale 5, Bonolis raccoglie dunque il testimone di Corrado (La Corrida, nella versione originale, era andata in onda su quello stesso canale fino al 1997), ampliandone semplicemente l’arena. E con la scusa di “creare” l’uomo e la donna del nuovo millennio Bonolis invoca Charles Darwin, chiama accanto a sé un’avvenente Madre Natura, e si dota dell’immancabile “Sancio Panza” Laurenti.

Ciao Darwin, una gara sì. Di sopravvivenza

Due squadre contrapposte per categoria di appartenenza, capitanate da un personaggio noto, si contendono ogni settimana la vittoria. Perché l’una prevalga sull’altra, come in una lotta per la sopravvivenza di “una” specie, i “dilettanti” questa volta vanno allo sbaraglio tra prove fisiche, indovinelli, domande di cultura generale. Ma anche sfide di coraggio e prove di “superamento del disgusto”, come giustamente descritto da Aldo Grasso. Per non parlare poi della prova finale da superare immersi in una vasca che piano piano si riempie d’acqua. Fornendo un contributo determinante a un processo d’involuzione (con buona pace di Darwin) del prodotto televisivo e finendo nel 2019 sulle pagine della cronaca a causa di un grave incidente ai danni di un concorrente. Ma tutte le avvisaglie vi erano già nel 1955.

Duecento al secondo

Domenica 19 giugno 1955, alle 21,25, debuttò Duecento al secondo sull’unico canale televisivo dell’epoca. Condotto da Mario Riva, scritto da Enzo Garinei e Sandro Giovannini per la regia di Romolo Siena, il programma è chiuso dopo sole 15 trasmissioni. Nato da un format americano, Dollar a Second, le duecento al secondo del titolo italiano si riferivano alle lire che il concorrente guadagnava per ogni secondo di permanenza davanti alla telecamera, in una gara che lo esponeva a prove di varia natura. E al verdetto di un “destino” che era spesso avverso al concorrente ma sempre benevolo nei confronti della Croce Rossa che “beneficiava” della somma accumulata. In quiz in cui all’errore non conseguiva l’esclusione, ma una penitenza fisica. Che poteva spaziare tra una cospicua doccia a sorpresa, un colpo di colonna sfuggita di mano a Sansone, un mega-pugno meccanico azionato dalla moglie del concorrente (con conseguente tuffo in acqua) o un’abbondante maschera facciale a base di panna montata, dispensata addirittura dal mite conduttore.

Ma capitava anche di dover ballare con un pupazzo di gomma, giocare a ping pong con una padella, fare slalom tra i birilli. Fin qui nulla di pericoloso. Ma si rischiava talvolta anche di finire coperti di cenere, o alle prese con la riparazione di una macchina a rischio d’esplosione o – penitenza che diverrà scontata – cadere in una vasca piena d’acqua.

Il valore televisivo della dignità umana

Come Aldo Grasso ne ha scritto in Storia critica della televisione italiana “la fisicità delle prove e la sottile perfidia di alcune penitenze finiscono per portare la trasmissione al centro di numerose polemiche”, e addirittura di una questione parlamentare. Insomma, Duecento al secondo venne ritenuta una trasmissione offensiva della dignità umana. Precorrendo ingenuamente quel tipo di programmi televisivi che, oltre alla dignità umana, arriveranno a offendere anche l’intelligenza del telespettatore.

E qualche motivo c’era se all’epoca Luciano Malaspina, come raccontato da Grasso, scrisse su Vie Nuove “vedere un uomo anziano, un padre di famiglia, mettersi carponi ed abbaiare, imitando un cane è cosa che non solo non fa ridere ma che suscita un senso di viva indignazione. Indignazione che si rivolge non verso il poveretto, che si rassegna a fare il buffone con il miraggio di arrotondare con qualche decina di migliaia di lire il magro bilancio familiare, ma verso coloro che speculando appunto sul disagio economico di tanta gente, comprano la dignità di qualche operaio o di qualche statale per allestire ‘spettacoli’ che rivelano soltanto la volgarità d’animo dei loro ideatori”.

Questo accadeva 65 anni fa. Di quella trasmissione restano poche tracce. Visive, s’intende. Ma la dignità umana resta senza prezzo. E lo sarebbe anche quella di alcuni conduttori, nonostante compensi fuori mercato, dispensati da reti televisive “commerciali” per definizione.

Antonio Facchin

Fonti

Aldo Grasso, Storia critica della televisione italiana (1954-1979) © il Saggiatore S.r.l., Milano 2019