Rai Documentari s’incensa per l’omaggio a Lady D ma non dice che è tratto da una miniserie UK

D. Time Lady Diana Rai1 Diana's Decades

Di Marco Zonetti

”Siamo felici dell’indiscutibile successo di pubblico del documentario D. Time – Il Tempo di Lady D, che ha conquistato 2.240.000 spettatori pari al 13.1% di share […] un successo che conferma la nostra scelta di aver creduto e portato in prima serata insieme a Rai Uno e al Tg1 una narrazione diversa e ben più complessa, frutto di un grande lavoro internazionale di ricerca […] Con un grande lavoro di squadra, e grazie alla presentazione della collega Laura Chimenti, Rai Documentari si dimostra capace di mettersi a capo della filiera del racconto della realtà per l’intera azienda.”

Queste le parole autocelebrative di Duilio Giammaria, Direttore di Rai Documentari, riguardo ai risultati Auditel del documentario della serie Rai “Prime Doc” dedicato a Lady Diana, andato in onda martedì 31 agosto 2021 nel 34mo anniversario della scomparsa della Principessa del Galles. Parole roboanti che, dietro le formule “lavoro internazionale di ricerca” o “coproduzione internazionale” che si leggono nel comunicato stampa Rai ufficiale, omettono però di dichiarare che il documento trasmesso su Rai1 è il condensato delle tre puntate della miniserie di ITV, rete televisiva privata britannica, dal titolo Diana’s Decades (letteralmente “I decenni di Diana”). Per confrontare, basta andare su YouTube dove sono pubblicate due delle tre puntate.

D. Time Lady Diana Rai1 Diana's Decades

Sostituendo l’originale Diana’s Decades con un nuovo peculiare titolo, D. Time (che non significa nulla né in italiano né tantomeno in inglese) privo del riferimento “decenni”, malgrado il documentario originale e il suo adattamento italiano esplorino gli anni Settanta, gli anni Ottanta e gli anni Novanta nei quali si è consumata la parabola esistenziale di Diana Spencer, la versione mandata in onda su Rai1 appare privata di qualsiasi riferimento alla miniserie originale di ITV.

Qualche taglio qua e là, montaggio delle tre puntate in un solo lungometraggio, dopodiché l’adattamento italiano si è limitato ad aggiungere un brevissimo siparietto con Laura Chimenti del Tg1 tra una parte e l’altra del documentario, e un’anteprima di due minuti sempre presentata dalla giornalista che a sua volta non nomina mai la trilogia originale britannica. Chimenti ha anche sostituito come voce narrante quella di Meera Syal nella serie Diana’s Decades, alla quale ogni citazione – ribadiamo – risulta desaparecida nella versione italiana.

Quanto alle formule “coproduzione internazionale” o “coproduzione mondiale” utilizzate dalla Rai e che, a un ascoltatore non informato potrebbero sembrare locuzioni che indichino il coinvolgimento della stessa Tv pubblica italiana, il realtà la miniserie originale da cui è tratto il documentario trasmesso dalla Rai è, come riportato nel fotogramma finale dei titoli di coda originali omesso dall’adattamento di Rai1, realizzata dalla britannica Spun Gold su commissione della già citata britannica ITV. Punto. Nessuna coproduzione internazionale o mondiale: è tutto made in Great Britain. Lo stesso Giammaria, all’Ansa, ha dichiarato in occasione della messa in onda italiana: “Abbiamo deciso di partecipare alla produzione di questo documentario perché, diversamente dalle altre biografie, ci rivela la principessa Diana come elemento di trasformazione della società, mettendo in luce come la sua personalità abbia cambiato per sempre il modo di percepire la sua epoca”.

Peccato però che a fine giugno 2021, la Silverlining annunciasse la pre-vendita della miniserie a Rai Documentari. Miniserie la cui prima puntata sarebbe andata in onda su ITV l’8 luglio 2021… In che modo, dunque, Rai Documentari ha potuto parteciparvi, se Diana’s Decades gli è stata venduta pochi giorni prima della messa in onda in Gran Bretagna?
   

D. Time Lady Diana Rai1 Diana's Decades

Ora ci chiediamo: dichiarare che il documentario D.Time – Il tempo di Lady D era, con qualche taglio qua e là, il condensato di tre puntate della miniserie britannica Diana’s Decades avrebbe tolto qualcosa al pregio dell’opera? Visto che nel giugno 2021 era stato annunciato dalla Rai l’acquisto della miniserie originale, per quale motivo al momento della sua messa in onda essa non viene mai citata, né nei comunicati ufficiali Rai, né nell’anteprima italiana, né finanche nei titoli di coda dell’adattamento nostrano? Per giunta, e questa è la pistola fumante, su Internet Movie Database, D.Time – Il tempo di Lady D viene indicato come la versione italiana di Diana’s Decades; lo dimostra – nello screenshot qui sotto – l’icona della miniserie britannica vicina al titolo italiano. Quindi si tratta dello stesso prodotto, semplicemente adattato per l’Italia.

D. Time Lady Diana Rai1 Diana's Decades


Il tutto ricorda tanto l’episodio del documentario Pompei, l’ultima scoperta andato in onda su Rai2 il 27 dicembre 2020, il cui valore scientifico la Rai s’intascò e che poi si scoprì essere in realtà prodotto dalla francofona Gedeon Programmes, al quale la Tv pubblica italiana aveva semplicemente aggiunto un’anteprima di qualche minuto. O quella volta in cui, ai primi di gennaio 2021, sempre Rai Documentari parlò di un “inedito” documento su Eduardo proponendolo in seconda serata su Rai1, quando invece era già andato in onda su Sky qualche settimana prima. O quando s’intestò il film Anne Frank – Vite Parallele, facendo inalberare Rai Cinema che l’aveva prodotto in prima battuta, come rilanciato anche da Dagospia.

Per quale motivo queste risibili omissioni che, quando scoperte, non fanno altro che sminuire il valore delle opere mandate in onda, specie in rapporto alle altisonanti autocelebrazioni che accompagnano la promozione e gli eventuali risultati Auditel di tali documentari? Che senso ha incensarsi con la stampa se, a conti fatti, si sono aggiunte una voce narrante italiana e un’anteprima di due minuti a un documentario realizzato all’estero e acquistato dalla Rai? Non ci pare che Piero Angela abbia mai speso tali parole di lodi nei confronti di se stesso. E dire che fa la stessa cosa da quarant’anni con i documentari della BBC. Con assai più successo e, soprattutto, nella massima sincerità.

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