Rai, grana per Report: Vladimiro Zagrebelsky smonta le rivendicazioni di Ranucci contro il Tar

Report Ranucci
Sigfrido Ranucci, conduttore di Report su Rai3

Continua a far discutere e a dividere la decisione del Tar del Lazio di autorizzare l’accesso agli atti in merito a una puntata della trasmissione Report condotta su Rai3 da Sigfrido Ranucci, che è anche Vicedirettore della Terza Rete. Il Tar ha accolto la richiesta dell’avvocato Andrea Mascetti, molto vicino al Presidente della Lombardia Attilio Fontana e oggetto dell’inchiesta di Report dal titolo “Vassalli, valvassori e valvassini”, andata in onda il 26 ottobre 2020. La richiesta del tribunale amministrativo ha innescato una marea di polemiche, specie dopo la dichiarazione di Sigfrido Ranucci, secondo il quale «La sentenza del Tar del Lazio è gravissima. Viola la Costituzione, viola la libertà di stampa. È un attacco senza precedenti». Ad avviso del conduttore di Report, la decisione del tribunale amministrativo obbligherebbe infatti il programma di Rai3 a rivelare le proprie fonti, compromettendo irreparabilmente le possibilità di ottenere informazioni in futuro. Per contestare tale sentenza, la stessa Rai ha annunciato ricorso al Consiglio di Stato.

Le rivendicazioni di Ranucci e della Rai, tuttavia, vengono smontate pezzo per pezzo dal magistrato, giurista e accademico Vladimiro Zagrebelsky che, in un esaustivo intervento sul quotidiano La Stampa, illustra il motivo per cui la richiesta del Tar del Lazio sia in realtà del tutto lecita. Partendo dal sacrosanto e inconfutabile principio della tutela della segretezza delle fonti giornalistiche, Zagrebelsky enuncia che “l’importanza del segreto non implica che esso sia assoluto e che non sia necessario tenere conto di esigenze legittime che possono farsi valere solo scoprendo la fonte ed eliminandone la credibilità”. E soprattutto: “Se la segretezza delle fonti fosse assoluta si ammetterebbe che il giornalista possa rifiutare di dar conto ciò che dice e scrive, anche quando si tratti di notizie relative a gravi atti criminali o di offese a diritti altrui“.

L’immunità del giornalista, secondo Zagrebelsky, sarebbe quindi “totale se addirittura si accettasse che la protezione delle fonti riguardi anche i documenti su cui il giornalista fonda le sue notizie”. Tuttavia, a parere del giurista (e qui sta il nodo principale): “la legge professionale dei giornalisti impone loro di rispettare i limiti delle norme a tutela della personalità altrui, nel rispetto della verità sostanziale dei fatti e dei doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede“.

Zagrebelsky cita a questo punto la Convenzione Europea dei Diritti Umani, secondo la quale “il diritto fondamentale della libertà di espressione porta con sé obblighi e responsabilità“. Talché “non sarebbe ammissibile che l’esercizio del delicato compito di dare notizie, valutarle ed esprimere giudizi fosse sottratto a ogni possibile controllo. Notizie infondate o distorte possono avere effetti devastanti”. Ecco perché, dunque, “la libertà costituzionalmente protetta del giornalista non implica l’esclusione di qualunque richiesta di spiegazione sul modo in cui essa è stata esercitata“. E ancora: “La richiesta al giornalista di far conoscere la base delle sue affermazioni e quindi le modalità del suo agire professionale, fa parte dell’opera complessa di contemperamento e di bilanciamento di esigenze diverse”.

Vladimiro Zagrebelsky conclude: “Anche per la protezione dell’identità delle fonti, si può dire, ricorrendo a un’espressione usata dalla Corte Costituzionale, che non vi sono ‘diritti tiranni’ che travolgono tutti gli altri”. In altri termini, neanche Report è al di sopra della legge. 

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