Rai. Minà raccontava: “Io epurato dalla destra e dalla sinistra pentita di esserlo”

Gianni Minà, epurato dalla Rai per mano della destra e della sinistra pentita di esserlo
Gianni Minà

di Marco Zonetti

La scomparsa di Gianni Minà, per il quale si stanno consumando lacrime di coccodrillo e il più tardivo e inutile degli omaggi corali, ovvero quello postumo, ha evidenziato in tutta la sua ignominia l’ostracismo subìto in questi anni da uno dei più grandi giornalisti italiani.

Soprattutto la Rai, che Minà contribuì a fare grande, si era dimenticata di lui e delle sue celebri interviste ai personaggi più rilevanti del secolo scorso, rievocate una volta ogni tanto – e con il contagocce – nei filmati di repertorio. Minà non lo si vedeva mai ospite in un talk show (dove spopolano cani e porci e per giunta sempre i soliti), e veniva interpellato soltanto nelle interviste sui giornali, che oggi – rileggendole – ci raccontano molto dello stato dell’informazione pubblica di questo malnato Paese.

In primis, il fatto di essere entrato in Rai nel 1960 senza essere sponsorizzato da alcun partito. Una caratteristica che in altri Paesi sarebbe stata motivo di vanto e che invece in Italia e nel servizio pubblico radiotelevisivo era reputata un “marchio d’infamia” che lo fece restare precario per anni, come Minà stesso riferì a Malcom Pagani sul Fatto Quotidiano.

Poi, con la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 1994, la prima epurazione dalla Rai come raccontò in un’intervista uscita nel maggio 2007 su Vanity Fair. “Nel 1994, dopo le elezioni vinte da Berlusconi, la Moratti divenne presidente Rai” rievocava il giornalista. “Io, che ero stato candidato nel centrosinistra a Palermo e che ero stato battuto, come il giudice Caponnetto, fui ricevuto da lei. Ma non mi chiamò più. Seppi poi che la sua assistente, l’ex socialista Giuliana Del Bufalo, avvertiva i direttori di rete che non ero “persona gradita”. Non so a chi”.

Dopodiché, nel ’96, con la vittoria di Romano Prodi e l’approdo del Centrosinistra a Palazzo Chigi, per Gianni Minà si riaprirono le porte della tv pubblica, anche se a tarda sera (forse per non sconvolgere troppo le coscienze…). “Con l’arrivo del governo di sinistra nel 1996, Carlo Freccero mi mandò su Raidue con il talk show Storie, a mezzanotte e mezzo. Intervistai da Scorsese a Renato Zero, dal Dalai Lama a John John Kennedy, ma anche i genitori di Ilaria Alpi, e loro si accorsero in diretta che le valigie della figlia di ritorno dalla Somalia non avevano i sigilli. Chi li aveva aperti in volo? E perché? Dopo un po’, il programma fu chiuso“.

Nell’intervista Gianni sottolineava come non gli venissero date risposte per la sua esclusione, “e, se te le danno, ti dicono: non è nella nostra linea editoriale. O: adesso non è il momento. Io scrivevo le proposte su carta, credevo che davvero qualcuno le valutasse […] Sicuramente all’inizio è stato per la politica: io, pur essendo da sempre un cattolico, stavo a sinistra, e il governo a destra. Ci può stare. Il fatto è che, dopo, sono stato allontanato anche quando governava la sinistra. Nel 1994 Giampaolo Sodano, ex direttore socialista di Raidue, mi rivelò: “Stavi sulle palle all’omone”, che era Craxi. Anni dopo mi hanno detto: “Stavi sulle palle a Velardi”, che era uno degli uomini di D’Alema. Insomma: prima ho pagato l’arroganza della destra, e poi il pentimento della sinistra di essere stata a sinistra“. 

In un’intervista rilasciata a Linkiesta nel 2015, Gianni Minà deplorava poi la riforma Rai voluta dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, riforma che rende appannaggio del Governo la nomina dell’amministratore delegato della Tv pubblica. “È una follia. Credo invece che dovremmo importare il modello della Bbc. È una televisione che tutela il servizio pubblico, con un’informazione acuta, ma che produce anche i migliori sceneggiati […] Nel sistema britannico i dirigenti vengono selezionati attraverso bandi pubblici, il Parlamento non interferisce. Ma per cambiare il sistema in Italia si deve partite da alcune certezze”.

E ancora: “Sono favorevole al canone, assolutamente ci deve essere e lo devono pagare tutti“. Criticando poi aspramente le ipotesi di privatizzazione, precisava: “Chi ne parla ignora cosa significhi ‘servizio pubblico‘. Oppure è semplicemente in malafede. Il privato, come ha dimostrato spesso la tv commerciale, pensa solo ai propri interessi, ad abbassare i costi. E per fare questo deve per forza abbassare la qualità. Non è un caso che la Fininvest certi programmi, come Scherzi a parte, li replichi da decenni per esigenze di pubblicità”.

Nella stessa intervista Gianni Minà si rifiutava di parlare male dei colleghi (sull’Arena di Massimo Giletti, all’epoca in onda su Rai1 la domenica pomeriggio, commentava laconicamente “Beh, ognuno fa quello che ritiene più giusto”), sottolineando però: “spesso si ha quasi la sensazione che ci sia una inusitata prevenzione nel giudicare un argomento scabroso, come ad esempio le guerre degli Stati Uniti o gli egoismi della comunità europea o le politiche della NATO. Insomma, un pregiudizio”.

Il giornalista torinese apriva poi una parentesi inquietante riguardo al controllo “parapolitico” dell’informazione Rai e alle richieste di “tagliare” i pezzi scomodi delle interviste, richieste alle quali egli si oppose sempre. Scelta pagata di persona nell’ultima fase della sua carriera in Rai, come nel caso della già citata puntata di Storie (1996-1998) riguardante l’omicidio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. “Guardando alcuni filmati in trasmissione, la madre di Ilaria, all’arrivo a Ciampino, si era accorta che i bagagli della figlia, spediti dalla Somalia assieme alla salma e sigillati con corda e ceralacca, erano stati aperti durante il viaggio. Su quell’aereo c’erano alcuni ufficiali del corpo di spedizione italiano in Somalia, i servizi segreti, persino un funzionario della Rai Tv […] Qualcuno mi chiese di tagliare quello spezzone. Non l’ho fatto“.

Mal gliene incolse. Basti pensare che nel 2007, mentre veniva premiato per la carriera con l’Orso D’Oro al Festival di Berlino, il giornalista che aveva contribuito a rendere la Rai un’esempio per l’informazione televisiva internazionale era già ostracizzato da Viale Mazzini da una decina d’anni.

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