di Marco Zonetti
Giovanni Minoli, intervistato da Enrico Mingori per T.P.I., non usa mezzi termini per definire la Rai come luogo nel quale “la legge dà potere ai partiti”, a partire dalla composizione del suo Consiglio di Amministrazione. Ma al tempo stesso, il giornalista e conduttore televisivo delinea un paradosso, secondo il quale al momento i partiti non contano nulla e sono succubi di Mario Draghi, determinando così una sorta di magma caotico nel quale, in ultima analisi la Tv, finisce per prevalere sulla politica. Politica che si trova quindi costretta a inseguire la Tv. “E’ la tv che ha vinto sulla politica” sottolinea Minoli.
Alla domanda se i politici che egli ha intervistato gli abbiano mai chiesto le domande in anticipo, l’ex conduttore di Faccia a faccia risponde senza mezzi termini: “Neanche per sogno. Ma non è quello il problema: non era mica una gara per fotterli, era una gara per sapere. Quando ho scoperto che per parlare con i 5 Stelle dovevo parlare con Casalino, basta, non li ho più invitati“.
Minoli parla quindi di una Tv degradata, e – come già da lui sottolineato l’anno scorso alla serata inaugurale della settima edizione di Link, il festival del giornalismo – di una Rai che ha perso il senso di essere servizio pubblico. Quanto ai talk show, “oggi fanno il 3 per cento”, prendendo “una fettina piccola” del Paese. “E il livello è bassissimo”.
Oltre a constatare l’ennesima conferma dell’esistenza del “metodo Casalino”, come definito dal Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi (che auspicava il ritorno di Minoli a occuparsi d’informazione Rai), il 3% di share – aggiungiamo noi – è già un traguardo ottimistico per i talk show. Basti pensare a prodotti Rai come Seconda Linea (chiuso dopo sole due puntate) e Anni 20, che su Rai2 in prima serata hanno ottenuto meno del 2%, stessa sorte capitata a Titolo V su Rai3, che in prime time è stato chiuso anticipatamente per ascolti nettamente inferiori al tre per cento.