Rai, Travaglio contro l’Ad Fuortes. Sul Minculpop Conte-Casalino nulla da dire?

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Marco Travaglio, Giuseppe Conte, Carlo Fuortes

Di Marco Zonetti

“Carlo Fuortes, che – a dispetto del cognome da tanguero – è nato a Roma…”. Basti solo questa manciata di parole tratte dall’articolo del Fatto Quotidiano a firma Marco Travaglio per avere la cifra dell’attacco al nuovo Amministratore Delegato Rai Carlo Fuortes, nominato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi. Con cotale dante causa, Fuortes non può che partire già del tutto svantaggiato per il direttore del Fatto che ogni santo giorno sul suo giornale e, talora più volte al dì, nei salotti televisivi piange sconsolato la dipartita di Giuseppe Conte.

Travaglio, che quanto a cognomi icastici non è secondo a nessuno, dà insomma senza mezzi termini del “tanghero” a Fuortes, appellandolo sarcasticamente “genio” come quell’altro “genio” di Draghi che lo ha messo al vertice della Rai. E il giornalista si aggrappa a due elementi: la decisione del nuovo Ad di ripristinare l’uso del “lei” a Viale Mazzini e la dichiarazione secondo la quale “la Rai deve tornare a una narrazione positiva”.

Non avendo noi “steso tappeti di saliva” (cit. Travaglio) al momento dell’insediamento di Fuortes in Rai, possiamo di fatto sottolineare che i due argomenti sui quali si dipana tutto l’editoriale al vetriolo sono piuttosto deboli e che gli strumenti con cui vengono sezionati i primi due mesi della gestione del nuovo Ad sono alquanto spuntati. Meri pretesti per poter sferrare il solito attacco a Renzi sull’Arabia Saudita, il consueto strale contro la “schiforma Cartabia”, e poteva mancare l’immancabile accenno al “Ruby-ter”?

Il Direttore del Fatto tira anche in ballo le veline del Minculpop in riferimento alla gestione Fuortes, ovviamente senza ricordare minimamente che questo paragone era invece appioppato solo qualche mese addietro al sistema delle veline di Conte-Casalino diffuse ai telegiornali, in particolare al Tg1 grillino. Con tanto di sequenze trasmesse in ogni edizione dei vari notiziari, nelle quali un elegantissimo Conte solcava con solerti passetti i corridoi istituzionali per poi sedersi a una scrivania ingombra di carte dall’aria cruciale con l’ardita abnegazione del salvatore del Paese.

Sequenze denunciate in un’interrogazione dal Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi, che la Rai confermò essere state realizzate a Palazzo Chigi e poi divulgate ai telegiornali. Una “messinscena orchestrata dai collaboratori di Conte che non ha paragoni in nessuna democrazia occidentale”, fu il commento dell’On. Anzaldi.

Sequenze per giunta affiancate ad arte ad altri servizi nei quali si sottolineavano le liti (esterne e interne) fra gli altri partiti. Il messaggio era chiaro: mentre gli altri si azzuffano, Conte pensa al bene dell’Italia, per dirla con la Professoressa Sara Bentivegna, che insegna Teorie delle comunicazioni di massa, Media research e Comunicazione Politica presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, da noi intervistata qualche mese fa. Senza contare, in tempi di lockdown, le conferenze stampa stile Grande Fratello organizzate sempre da Casalino (che si ritagliava addirittura una postazione strategica a favore di telecamera, come notò Luca Bizzarri), “show orchestrati per impedire vere domande e l’interazione con i giornalisti” fu il commento del Segretario della Commissione di Vigilanza Rai.

Non rammentiamo all’epoca cinici e puntuti editoriali di Travaglio riguardo a quelle dinamiche da Istituto Luce, né reprimende all’ex Ad Fabrizio Salini né alla Rai ridotta allo stremo dall’ex gestione giallo-verde che ha fatto il bello e il cattivo tempo a Viale Mazzini per tre anni, malgrado l’avvicendamento di tre governi di colore diverso. Forse perché i vertici erano stati nominati dal caro leader Giuseppe Conte?

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