La sindaca di Roma perde la corsa alla rielezione, una sconfitta per il Movimento Cinque Stelle
Traduzione di Marco Zonetti dell’articolo di Elisabetta Povoledo pubblicato sul New York Times
In cinque anni di mandato, Virginia Raggi non è riuscita a fermare il malfunzionamento della Capitale, nella quale ora gli elettori sono chiamati al ballottaggio per scegliere fra due suoi rivali.
Lunedì 4 ottobre gli elettori hanno respinto clamorosamente il tentativo di rielezione della sindaca di Roma grillina Virginia Raggi, salita al potere cinque anni fa con la promessa di cambiamento ma incapace di sistemare il degrado dei servizi e della qualità della vita, divenuto marchio caratteristico della Capitale. Al contrario Raggi, prima donna a governare Roma nonché la più giovane fra i suoi sindaci, ha finito per essere associata al declino della città, conquistandosi – assieme al suo partito – la fama nazionale d’incompetente.
Parlando ai suoi sostenitori in un hotel nel centro di Roma nella serata di lunedì, è parsa ammettere la sconfitta. “Come dicono a Roma, mi sono accollata la parte più difficile del lavoro” ha dichiarato. “Chi viene dopo non ha più scuse per lavorare bene e noi vigileremo su questo”.
L’allusione è ai due principali aspiranti al Campidoglio, rispetto ai quali Raggi è rimasta molto indietro nel risultato elettorale: Enrico Michetti, avvocato sostenuto da diversi partiti di Destra, e Roberto Gualtieri, già Ministro delle Finanze e candidato del Centrosinistra capeggiato dal Partito Democratico. (Raggi è di fatto arrivata quarta dopo Carlo Calenda, la cui lista è risultata il “partito” più votato a Roma, ndr).
L’ex sindaca ha fatto sapere che non sosterrà apertamente nessuno dei due. “Io non darò indicazioni di voto al ballottaggio” ha asserito. “Perché i voti non sono pacchetti e i cittadini non sono mandrie da portare al pascolo.”
Un tempo Raggi era una fulgida luce nel firmamento dei Cinque Stelle, rampante partito anti-sistema che ha ammaliato gli italiani stanchi della classe politica del Paese. Ma durante il suo mandato i problemi di Roma si sono accumulati, così come i rifiuti non raccolti, attirando stormi di gabbiani, cornacchie e perfino branchi di cinghiali. Senza contare il proliferare di buche che non ha visto soluzione, gli autobus pubblici che prendono fuoco, e le lamentele di alcuni ciclisti secondo i quali le piste ciclabili realizzate dalla sindaca sono mal tenute e non sicure.
Poi, la sera di sabato 2 ottobre, poche ore prima che aprissero i seggi, un ponte ottocentesco in un quartiere trendy di Roma ha preso fuoco. Investigatori ed esperti stanno ancora cercando le cause dell’incendio, ma la metafora di una Roma in fiamme (di neroniana memoria) non è sfuggita ai detrattori di Raggi.
Le elezioni amministrative si sono tenute domenica 3 e lunedì 4 ottobre in oltre mille comuni e città italiani, ma non è ancora chiaro quale significato avranno per la politica nazionale, con le prossime elezioni politiche previste – almeno sulla carta – fra più di un anno e mezzo.
Il Primo Ministro Mario Draghi, indipendente e già Presidente della Banca Centrale Europea, vanta un largo consenso in Parlamento, ma la scarsa affluenza alle urne potrebbe rispecchiare una generale disaffezione da parte dell’elettorato. Ai seggi si è recato solo il 48.8% del bacino elettorale romano, circa il dieci per cento in meno rispetto a cinque anni fa, e la media nazionale ha sfiorato il 55%, la più bassa di sempre.
Il fato di Raggi è stato, in parte, speculare a quello del suo partito. Fin dal trionfo alle elezioni politiche del 2018, quando hanno ottenuto la percentuale più alta di voti e sono entrati a far parte della coalizione di Governo, i Cinque Stelle hanno subìto un’emorragia di consensi.
“Una cosa è promettere cambiamenti quando si è all’Opposizione, altra cosa è trasformare le promesse in politiche efficaci quando si è al Governo”, ha dichiarato Roberto Biorcio, docente di Sociologia Politica all’Università di Milano Bicocca. “In questo senso, Raggi ha seguito questa traiettoria discendente.”
A Roma, la disillusione nei confronti di Raggi cresceva di pari passo con il suo fallimento nel formare una squadra forte, sostituendo frequentemente gli assessori in giunta e paralizzando così le decisioni amministrative.
“E’ stata la perpetuazione di una tendenza al deterioramento della città” è il parere di Giovanni Orsina, Docente alla School of Government della Luiss. “Dopo cinque anni di amministrazione pentastellata, i problemi di Roma sono ancora lì”, citando la crisi dei rifiuti e il sistema dei trasporti pubblici notoriamente inefficiente. “E adesso il ponte che ha preso fuoco prima delle elezioni.”
E tuttavia, nei comuni dove i Cinque Stelle e il Partito Democratico erano alleati, come a Bologna e Napoli, i candidati del Centrosinistra hanno vinto al primo turno, dando l’abbrivio all’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, eletto presidente del M5s ad agosto. Alleanze sulle quali egli ha insistito, mettendosi in rotta di collisione con i grillini più ortodossi che restano radicati nei loro principi antisistema. L’esito elettorale in diverse città “suggerisce che, laddove uniscono le forze, Cinque Stelle e Dem possono ottenere buoni risultati” è l’opinione del Professor Biorcio.
Quanto alla Raggi, può aver perso il lavoro ma ha ancora un certo peso in seno al M5s, dopo essere stata eletta nel comitato di garanzia del partito il mese scorso. E, a 43 anni, è ancora giovane. “Dopo essere stata sindaca di Roma per cinque anni, sarà dura per lei tornare a fare l’avvocato” sostiene il Professor Orsina. “Adesso proverà a vedere se è in grado di costruirsi un diverso futuro politico all’interno del Movimento Cinque Stelle”.