The Social Network: datemi un algoritmo e “schederò” il mondo

The Social Network (da sinistra) Andrew Garfield, Joseph Mazzello, Jesse Eisenberg, 2010. ph: Merrick Morton©Columbia Pictures/Courtesy Everett Collection

E vi fornirò dati personali, inclinazioni politiche, informazione private (vere o millantate) e, soprattutto, preferenze sessuali di tutto il mondo. Per influenzare le politiche globali. Signore e signori, ecco a voi la storia di Mark Zuckerberg.

La storia di Mark Zuckerberg, inventore di Facebook

Uno studente di Harvard affetto da sindrome di Asperger, che gli reca qualche difficoltà d’interazione col genere umano, spicca per la sua capacità straordinaria di elaborazione di processi informatici. “Hackerando” le intranet delle principali università americane ne cataloga le studentesse per valutarne la bellezza. Ma non con un’attitudine da latin lover. Bensì da triste nerd recentemente scaricato da una compagna di studi. Grazie a un algoritmo prestato e a un’idea “scippata”, fonda nel 2004 Facebook, il social network che ha sedotto il mondo e che, a sedici anni dalla sua fondazione, lo ha reso uno dei uomini più ricchi e potenti di sempre.

La trama del film

Questa sera, 3 gennaio 2021, RaiStoria trasmetterà alle 21.10 The social network, film scritto e diretto da David Fincher, tratto da The Accidental Billionaires: Sex, Money, Betrayal and the Founding of Facebook di Ben Mezrich, che narra com’è nato Facebook, il social network per definizione. Di seguito la trama, corredata da immagini tratte dalla pellicola.

2003, Università di Harvard. Mark Zuckerberg, un giovane studente particolarmente brillante in scienze informatiche, viene lasciato dalla ragazza, per la quale nutre una certa ossessione.

Rooney Mara è Erica Albright, l’ex ragazza di Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg) in The Social Network

E fin qui non vi sarebbe nulla di strano visto il suo comportamento “sociale”. Mosso dal desiderio di rivalsa, concepisce l’idea di creare un sito web dove poter mettere ai voti la bellezza delle studentesse del college.

Andrew Garfield è Eduardo Saverin (nella foto con Jesse Eisenberg)

Egli inizia da subito a lavorare al progetto, coinvolgendo il suo migliore amico Eduardo Saverin, cui chiede l’algoritmo perfetto. Dopo un’abile operazione di hackeraggio ai danni delle principali università americane, e delle sue studentesse di cui viola la privacy (senza porsi alcun problema), migliaia di foto e nomi confluiscono in FaceMash.com, la sua prima invenzione.

Armie Hammer nel duplice ruolo dei gemelli Cameron e Tyler Winklewoos

Punito dall’Università per la bravata, Zuckerberg ne diventa l’assoluto protagonista attirando l’attenzione dei gemelli Winklewoss, aitanti e facoltosi campioni di cannottaggio – e ambiziosi imprenditori in erba – che condividono con lui l’idea di quello che di lì a poco diventerà The Facebook. Ma senza di loro. Nasce così un social network online esclusivo, per tutti gli studenti di Harvard, dove è possibile condividere informazioni “private” rendendole pubbliche.

Justin Timberlake nel ruolo di Sean Parker, l’inventore di Napster

L’invenzione, nel momento in cui si arricchisce della possibilità di catalogare informazioni sulle preferenze e la disponibilità sessuale dei suoi iscritti, raggiunge presto una popolarità inaspettata, al punto da attirare l’attenzione di Sean Parker, l’inventore di Napster, che suggerisce di cambiare The Facebook nel più incisivo Facebook. Il resto è noto.

Ma il film fa riflettere sul “valore” etico del giovane nerd che non rispetterà nessuno di coloro che avevano contribuito al suo progetto. Progetto che gli ha consentito di detenere i dati personali (e sensibili) di tutto il mondo (o quasi).

La sindrome di Asperger

The social network rappresenta anche una godibile occasione (è un bel film) per entrare in contatto con un disturbo tanto diffuso quanto sconosciuto: la sindrome di Asperger. Di quest’ultima si è parlato giusto a proposito di Greta Thunberg, ma resta tuttavia ignota ai più, seppur espressa da molti “grandi” che hanno spesso innovato la cultura del mondo, con qualche “stravaganza”.

Un’altra immagine di Jesse Eisenberg, Mark Zuckerberg in The Social Network

Ne ricordiamo uno su tutti – Steve Jobs – che è per tanti aspetti legato a Zuckerberg. Fosse anche solo per una certa repulsione nei confronti delle scarpe (stando almeno al ritratto che ne ha fatto Walter Isaacson, in Italia dal 2011 grazie a Mondadori), “sintomo” proprio di quel disturbo del comportamento che li ha accomunati.

Scherzi a parte, la sindrome di Asperger è una delle varie manifestazioni di un disturbo autistico che causa “difficoltà” d’interazione sociale. E che è spesso alla base di una quasi totale assenza del sentimento dell’empatia da parte di chi la esprime, principale motivo di sofferenza per coloro i quali si trovano accanto a chi è affetto da Asperger. E che si accompagna a una costante ripetitività di comportamenti, espressioni, preferenze. A una manifesta intolleranza al cambiamento, indipendentemente dalla sua natura. Ma anche a una capacità di ragionamento e doti di memoria non comuni.

Ben lontana dall’autismo del classico bambino che non interagisce agli stimoli esterni, la sindrome di Asperger può essere espressa da persone all’apparenza del tutto “normali”, solo un tantino “ruvide”. E se ne studiamo le caratteristiche ci si può rendere conto che tutti possiamo esprimerne qualche tratto.

Dieci anni dopo l’uscita del film (e soprattutto sedici dopo la fondazione di Facebook)

The social network è indubbiamente un film di pregio, dei cui riconoscimenti abbiamo già trattato. È tuttavia difficile credere a quell’inconsapevolezza che racconta (così come il libro da cui è tratto). E soprattutto credere che uno studente universitario americano, con una spiccata attitudine per la tecnologia informatica, crei una start-up in patria, lasciandosene poi sfuggire di mano il controllo. È un po’ come negare la cultura americana. Poco credibile anche il fatto che, in un contesto accademico, culla di “nonnismo”, un “diverso” non cadesse vittima di soprusi.

Tanta inconsapevolezza è infatti smentita da alcuni fatti. Nei sedici anni trascorsi dalla sua fondazione Facebook ha normalizzato la violazione della privacy; ha introdotto – irrimediabilmente – il concetto di “amicizia virtuale” (che è una contraddizione in termini); ha “educato” tutto il suo popolo alla semplificazione, al preconcetto, al pregiudizio. Ha sdoganato l’odio, anche il peggiore, spesso senza prenderne le distanze.

Mondo virtuale

Ha vieppiù creato un mondo “virtuale” dominato da un algoritmo, facendo leva sul narcisismo e su una naturale tendenza dell’uomo a imbonire il suo prossimo. Insomma, ha offerto a tutti ciò che desideravano. Ma l’etica imporrebbe talvolta esattamente il contrario. E se chi inventa ha la responsabilità della sua invenzione, maggior responsabilità è di chi ne fa uso.

A tal proposito gli Stati Uniti, grazie a Facebook e alla sua campagna mirata a influenzarne l’elettorato, sono stati governati, sia pur per un solo mandato, da Donald Trump. E gli americani che lo hanno permesso sono i diretti responsabili del “baratto” di un modello di democrazia con una plutocrazia dell’ultim’ora.

Influenza sul comportamento

Anche in Italia Facebook ha favorito l’ascesa – e la piena espressione – di movimenti populisti con tutto ciò che ne deriva. E questo è il “prezzo” della democrazia. Ma, per fare un esempio, rispetto alle dichiarazioni di alcuni negazionisti che spopolano sui social network, ci permettiamo di obiettare che non serve impiantare tramite vaccino un microchip per influenzare il nostro comportamento. Facebook con la sua valanga d’informazioni d’interesse discutibile, ma tali da stremare chiunque, fa già da tempo e in maniera chirurgica ciò che essi stessi temono. Insomma, dietro la sua smisurata parata di innocenti gattini Facebook cela ben altro. E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.

Antonio Facchin

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