Da Calimero pulcino nero al noir di Kubrick: evoluzione cinematografica degli spot tv

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Hayley Atwell e Tom Cruise star di Mission: Impossible Dead Reckoning Part One e del nuovo spot Fiat 500 Abarth E (©Paramount Pictures)

di Antonio Facchin

Il 3 febbraio 1957, dopo il solito telegiornale, fece la sua prima apparizione Carosello. Per il critico televisivo Aldo Grasso un ghetto dorato della pubblicità, che diverrà in breve appuntamento irrinunciabile per i bambini. Anzi, per vent’anni, il contenitore Rai costituirà la fine canonica della loro giornata poiché dopo Carosello si finiva insindacabilmente a letto. Per il semiologo Omar Calabrese Carosello è stata “la più duratura, la più nota e (sembra impossibile) la più seguita delle trasmissioni di tutti i tempi”. E l’origine della pubblicità televisiva.

In principio c’era Calimero

Le sue potenzialità furono presto evidenti. Ancor più chiare oggi, alla luce della permanenza nell’immaginario collettivo – dopo ben mezzo secolo – di personaggi come Calimero (Mira Lanza), pulcino nero che aspirava a diventare bianco (ben prima di Michael Jackson). Una situazione che, in chiave politically correct, sarebbe attualmente improponibile, soprattutto oltreoceano. E tuttavia, un messaggio pubblicitario ancor più efficace se solo consideriamo il nugolo di polemiche che susciterebbe sui social network. Ma torniamo alle origini.

Calimero, pulcino nero

La pubblicità diventa arte cinematografica

La storia della televisione e quella pubblicitaria televisiva in Italia dunque coincidono: due ere (bianco-nero e colore) e tre periodi (le origini, il periodo legato alla nascita e al successo della televisione commerciale, e quello successivo alla diffusione dei device digitali). Sarebbe interessante ripercorrere organicamente anche l’evoluzione della pubblicità letta in chiave socioculturale. Nata e apprezzata col promuovere l’acquisto di beni di prima necessità, diventata poi un’autentica enciclopedia del consumismo. Lo sottolinea Vanni Codeluppi nella sua Storia della pubblicità italiana.

Dallo slogan alla celluloide

Il linguaggio degli spot, in origine, puntava su uno slogan, per poi passare a enfatizzare l’efficacia dell’immagine fino a raggiungere paradossi di idealizzazione. Come nella famiglia del primo Mulino Bianco, incubo di tanti adolescenti che, in quell’idilliaco e bucolico quadretto, non riconoscevano la propria. Soffermiamoci su questo periodo rievocandone alcuni momenti salienti, legati al successo delle reti televisive commerciali e appartenenti al periodo compreso fra gli anni ottanta e novanta del secolo scorso. Quando la pubblicità, vale a dire, si fece addirittura “cinematografica” e, a tutti gli effetti, una forma d’arte. Tanti i maestri misuratisi con successo con i suoi tempi ridotti: da Federico Fellini a Gabriele SalvatoresPaolo Sorrentino e Giuseppe Tornatore, solo per citare i registi vincitori di Oscar.

Cinema e pubblicità

E se Sophia Loren fu testimonial perfetta per un noto prosciutto cotto in virtù dell’originalità e ironia del messaggio, e al cospicuo ingaggio che fece a lungo notizia in tempi pre-social, la pubblicità ha anche letteralmente svelato un’altra superstar: Charlize Theron ai suoi esordi per Martini. E ci ha divertito mettendo a dura prova autorevoli sex symbol al maschile, alle prese di volta in volta con galline perplesse,  tonni in scatola, ladri di caffè , un wi-fi che abbrutisce  o con l’umiliazione di essere ingaggiati tanto per evocare la bellissima moglie, ormai ex.  O mostrando addirittura chi, una volta scampato alle grinfie di un orso (che tocca fa’ per l’Oscar), rinnova la sua sintonia con gli animali e l’ambiente stavolta da ordinario automobilista.  

Meglio è andata alle attrici che, se non altro, abbiamo visto gattonare in un’auto bloccata per raggiungere il posto di guida dal portello posteriore sfilando semplicemente le scarpe, o uscirne con piglio da amazzone.  Equivocare un incontro solo per un sorso di bevanda gassata, o presentarsi in piena riunione di condominio in abito da sera, in un quartiere popolare, avanzando improbabili richieste.

Il fenomeno Chanel N°5

Lanciare un prodotto sul mercato è operazione estremamente onerosa che non lascia spazio a errori. Rilanciarlo, dal canto suo, la rende ancor più delicata. Quello di Chanel N°5 ideato da Karl Lagerfeld nel 2004 resta a tutt’oggi il rilancio più importante mai realizzato nella storia della pubblicità, come abbiamo già avuto modo di sottolineare. Se solo si considera che Nicole Kidman e Baz Lurhmann, star e regista di Moulin Rouge!, ce lo hanno fatto rivivere in un doppio spot hollywoodiano (della durata rispettiva di 2:00 e 3:00 minuti). Cui hanno fatto seguito un making of  e un docu-film che racconta il progetto a partire dall’idea, sulle note del Clair de lune di Claude Debussy. Un rilancio di assoluto successo di cui beneficiarono anche l’alta moda e la gioielleria, comparti di spicco della maison.

Chanel N°5

Ironia, unica via

Ma, in tempi di crisi dei consumi, le citazioni costano meno e minimizzano i rischi. Così, dopo la fase “neo-realista” da pandemia, anche la pubblicità se non a farci sognare è tornata almeno a farci sorridere, nonostante risenta, anch’essa, di fenomeni inflattivi per deficit d’investimenti e creatività. Trovando una soluzione nel carpire al cinema suggestioni, codici e situazioni. Come nel raffinato e romantico omaggio a Lilly e il vagabondo per la pasta Barilla trafilata al bronzo.

O ricorrendo almeno a quell’ironia tanto cara ad Aristotele che fa sempre la differenza. Questo il caso della divertente citazione di Notting Hill (per il più recente spot Prime Day Amazon) o del palese richiamo ad Eyes Wide Shut nella coppia di ordinari signori che, sbagliando compagnia, si ritrovano loro malgrado in un’orgia in maschera del tutto simile a quella che, agli albori del nuovo millennio, vide protagonista Tom Cruise nell’ultimo film di Stanley Kubrick. Lo stesso Cruise che impazza in questi giorni in Tv sfrecciando per i vicoli romani a bordo di una Fiat 500 Abarth E nella Mission Impossible di surclassare l’agente 007 di Spectre. Ma qui d’ironia non v’è traccia.

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