Di Marco Zonetti
Due cose sono certe nella vita: domani il sole sorgerà a Est, e malgrado il silenzio prima delle elezioni (che in queste votazioni amministrative e suppletive dell’autunno 2021 è scattato a partire dalla mezzanotte di venerdì 1 ottobre fino alla chiusura dei seggi lunedì 4) Silvio Berlusconi troverà il modo di violarlo. Il Cavaliere ha colpito ancora ieri, nella domenica di voto, augurando di fronte a cronisti e telecamere un ottimo risultato per le liste del Centrodestra.
Ma non è stato il solo: il Codacons ha infatti annunciato di voler presentare un esposto alla Procura di Roma e al Garante della Privacy per i messaggi inviati via Whatsapp a molti cittadini invitando a votare per Virginia Raggi. L’associazione precisa di aver “registrato segnalazioni da parte di utenti che hanno ricevuto tramite WhatsApp messaggi inviati da movimenti politici che appoggiano la sindaca Virginia Raggi con cui si invitano i cittadini a recarsi alle urne. E ancora: “messaggi in cui compare il simbolo del movimento che appoggia Virginia Raggi e che rappresentano una indebita pressione sui romani chiamati ad esprimere la propria preferenza, in un momento in cui vige il silenzio elettorale“.
Il fatto è che la norma che regola il silenzio elettorale è ferma alla Prima Repubblica. Un’epoca in cui ovviamente non vi erano i telefonini, né tantomeno gli smartphone. E quando i social network non esistevano neanche nei sogni più selvaggi. Nel tempo vi sono stati vari tentativi di modernizzare la legge del 1956, più volte modificata per introdurre il silenzio elettorale alla radio e in Tv, ma non ancora riguardo – per l’appunto – ai social network.
La Legge 4 aprile 1956, n. 212, è infatti ferma alle seguenti regole: “Nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni sono vietati i comizi e le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Nonché la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri o manifesti di propaganda o l’applicazione di striscioni, drappi o impianti luminosi. Nei giorni destinati alla votazione è vietata, altresì, ogni propaganda elettorale entro il raggio di 200 metri dall’ingresso delle sezioni elettorali”.
A colmare il vuoto ci hanno provato l’ex Senatrice grillina Serenella Fucksia nell’agosto 2016, e il Deputato Michele Anzaldi di Italia Viva, Segretario della Commissione di Vigilanza Rai. Il 24 giugno 2016 l’On. Anzaldi presentò infatti una proposta di modifica della Legge 4 aprile 1956, n. 212 (qui il link per consultarla) “concernente l’introduzione del divieto di propaganda elettorale per via telematica nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni”.
Interpellato dal Messaggero riguardo alla violazione del silenzio elettorale per le attuali consultazioni amministrative e suppletive del 3-4 ottobre, l’On. Anzaldi ha commentato: «Ogni volta tutti si lamentano, ma poi la legge non si cambia», annunciando quindi aver riproposto il testo in questa legislatura che ora è in Commissione Affari Costituzionali». Peraltro, a suo parere, «in questa campagna elettorale anche la “par condicio è stata aggirata».
La proposta di legge di Michele Anzaldi “prevede modifiche all’articolo 9 della legge n. 212 del 1956, al fine di adeguare la disciplina della propaganda elettorale alla luce dell’evoluzione della tecnologia e delle novità che nel corso del tempo sono intervenute”. E in particolare: “prevede il divieto, nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni, di fare propaganda elettorale, diretta o indiretta, nei propri siti internet e nei servizi di social network da parte dei candidati, dei partiti, dei movimenti e dei gruppi politici organizzati”. Chiunque contravvenisse al divieto, sempre secondo la proposta del Deputato di Italia Viva, “sarebbe punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro”.
Frattanto, mentre la proposta attende di avere seguito, stanno per concludersi altre elezioni nel Far West dei social network, ove tutto è lecito, tollerato, e – pericolosamente – reiterato milioni di volte.