Ilaria Salis entra nello Zeroverso (e i media finalmente parlano di lei)

di Antonio Facchin

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Ilaria Salis entra nello Zeroverso (e i media finalmente parlano di lei)
Zerocalcare, al secolo Michele Rech

Zerocalcare è l’artista che ha letteralmente rivoluzionato il mercato del fumetto in Italia. E non poteva andare diversamente perché è un artista profondamente rivoluzionario. Un rivoluzionario pacifico, beninteso, perché affida le sue proteste a strisce pregne d’impegno sociale e satira politica. Senza tuttavia lesinare prese di posizione controcorrente; come nel suo recente recesso all’adesione al Lucca Comics & Games, il più seguito festival del settore – e di cultura pop – in disaccordo con la partecipazione di Israele all’inizio del conflitto contro Hamas. Un ritiro da una manifestazione che lo premiò nel 2012 per il libro che cambiò, ampliandolo, il mercato del fumetto: La profezia dell’armadillo.

L’artista si è reso più recentemente protagonista di un singolare caso mediatico: ha ritratto Ilaria Salis, l’insegnante milanese detenuta a Budapest da più di un anno nell’indifferenza generale, nella sua striscia settimanale per l’Internazionale. Ed è bastato perché un caso di violazione dei diritti umani in un paese dell’Unione Europea, finisse da quel momento su tutti i giornali e nei principali talk show. Dando la possibilità al padre della detenuta di coinvolgere il Governo, e porre così le basi per una sua estradizione.

In fondo al pozzo: l'omaggio di Zerocalcare a Ilaria Salis su l'Internazionale
In fondo al pozzo, la striscia su Ilaria Salis per l’Internazionale

Il caso Ilaria Salis

Con una condanna a undici anni di carcere che rischia di aggravarsi, Ilaria Salis è detenuta nel carcere di massima sicurezza di Budapest, in condizioni degradanti, da quasi un anno; da quando cioè prese parte all’Honor day, raduno dei neonazisti europei ospitato come di consueto dal governo ungherese presieduto da Viktor Orbán. Con l’accusa di terrorismo per aver percosso due persone che non hanno neanche sporto denuncia. L’accusa, definita senza certezza delle prove, le condizioni estreme della detenzione, e il lungo periodo (sette mesi) in cui la famiglia non ha avuto notizie dalla prigioniera, l’ha indotta a creare un comitato online, www.comitatoilariasalis.it, e Amnesty International a portare il suo caso all’attenzione della premier Giorgia Meloni, alleata “storica” di Orbán. E del vicepresidente del consiglio e ministro degli affari esteri Tajani, del ministro della giustizia Nordio e dell’ambasciatore italiano in Ungheria Jacoangeli, convocato solo dopo la pubblicazione delle immagini della Salis incatenata nell’aula di tribunale.

Ilaria Salis nell'udienza del 29 gennaio (© il Fatto Quotidiano)
Ilaria Salis nell’udienza del 29 gennaio (© il Fatto Quotidiano)

L’organizzazione ha sottolineato come anche la mancanza di traduzione di una parte degli atti processuali e di accesso ai video depositati come prove incriminanti, violino il diritto internazionalmente riconosciuto a un processo equo. Nella lettera al Governo Amnesty International Italia sottolinea come i legali di Ilaria Salis abbiano ripetutamente presentato istanza per chiedere che le misure cautelari si svolgessero nello stato di residenza dell’imputata, come recita il comunicato ufficiale. Ma tali richieste, mai sostenute dall’ambasciata italiana a Budapest, sono state alla fine respinte dalla magistratura ungherese. E di tutto ciò i principali media nazionali hanno iniziato a trattare da poco più di una settimana.

Un ritratto di Zerocalcare

“Gli artisti, i musicisti, i fumettisti, gli scrittori possono rendere il loro lavoro un atto di resistenza culturale” ha dichiarato Zerocalcare in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi a Fabio Tonacci di Repubblica; tanto più in questo periodo, “producendo opere che creano immaginario, perché quello la destra non lo sa fare”. Ma nella stessa intervista l’artista non le manda a dire neanche a una sinistra che stenta a uscire dall’impasse. E ai suoi “militanti da tastiera”, sottolineando che non sono delle effimere polemiche sui social a fare un militante; non c’è da sorprendersi se, in consonanza, la sinistra non riesca più a intercettare le istanze degli operai nelle fabbriche, del mondo del lavoro, le difficoltà delle famiglie. Richiamando infine l’attenzione sulla vera natura dei social, “piattaforme private che rispondono a logiche di profitto”, incapaci di sostituirsi alla “politica vera, che si fa ancora associandoci ad altre persone, parlando, agitando vertenze e cercando di vincerle”. In queste parole c’è tutto Zerocalcare.

Pseudonimo di Michele Rech, figlio quarantenne dell’estrema periferia romana, francese per metà, Zerocalcare prese parte non ancora diciottenne alle grandi manifestazioni dei movimenti no global e ad alcuni degli episodi più tragici della storia recente come quelli di Piazza Alimonda, e della scuola Diaz e la caserma di Bolzaneto, a seguito delle proteste per il G8 di Genova, come racconta un suo bel ritratto su Il Post. Fu proprio a Genova che Zerocalcare iniziò a disegnare per raccogliere i soldi per sostenere le spese processuali di chi finì in prigione dopo gli scontri con la polizia e l’uccisione di Carlo Giuliani da parte di un agente. Così nacque La nostra storia alla sbarra, il suo primo libro.

Profondo conoscitore di un settore di nicchia – quello del fumetto – all’avanguardia in Francia ma seguito in Italia da un ristretto pubblico di cultori per lo più seguaci della Marvel, Zerocalcare iniziò a farsi conoscere grazie al blog ink4riot – prima di intitolarsi un sito web – e a un nutrito seguito su Facebook. Fino alla Profezia dell’armadillo, libro per buona parte autobiografico, pubblicato inizialmente dalla Graficart di Makkox, il fumettista di Propaganda Live, programma della prima serata del venerdì de La7.

Ispirato all’animale “socio-patico per eccellenza, quello che si racchiude su sé stesso”, Zerocalcare è riuscito a realizzare un prodotto che lega il talento grafico e letterario alla denuncia sociale, suscitando empatia nei lettori. Fattori alla base di un successo che nel 2012 ha dato origine a Un polpo alla gola, il suo secondo libro, cui seguirono Ogni maledetto lunedì su due e Dodici (2013), Dimentica il mio nome (2014) e L’elenco telefonico degli accolli (2015). Nel 2016 uscì invece un esperimento che potrebbe definirsi di graphic journalism: Kobane Calling, un libro che racconta i tre viaggi che l’autore fece in Turchia, Iraq e Siria per raccontare la resistenza della popolazione curda nella zona di confine tra i tre stati. Tutti libri che hanno scalato le classifiche di vendita. E ispirato un film, La profezia dell’armadillo, che la Fandango di Domenico Procacci ha prodotto nel 2018.

Zerocalcare a Propaganda Live su La7
Zerocalcare a Propaganda Live su La7

L’animazione è la sua ultima passione grazie alla quale è nata la miniserie Rebibbia Quarantine, trasmessa con successo da Propaganda Live, in cui Zerocalcare ha raccontato con ironia e leggerezza l’esperienza del lockdown; seguito da Strappare lungo i bordi (2021) e la recente Questo mondo non mi renderà cattivo. Due serie realizzate per Netflix, che lo hanno definitivamente consacrato artefice di uno Zeroverso: l’universo di Zerocalcare.

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