di Antonio Facchin
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La normativa europea sull’applicazione dell’intelligenza artificiale, il cosiddetto DSA (Digital Services Act, varato a fine 2022) ha prodotto il suo primo importante effetto. Dal 25 agosto è infatti possibile per tutti gli iscritti a Facebook e Instagram, società che fanno capo al marchio Meta, esprimere la propria opposizione al che l’intelligenza artificiale applicata a queste piattaforme possa “esercitarsi” sui loro dati personali conglobandoli, tanto più se sensibili. E parliamo della più vasta banca di dati “sensibili” esistente al mondo se solo consideriamo che su Facebook troviamo quasi tutto il genere umano, che sia vivente o meno, che vi ha “postato” di tutto, di più, al netto di qualche profilo fasullo. Anzi, a tale proposito sarà divertente vedere quanto l’intelligenza “surrogata” saprà distinguere il vero dal falso.
La trasparenza prima di tutto
Ma come funziona l’intelligenza artificiale generativa, quella cioè che consente di riprodurre “creativamente” il linguaggio, la scrittura se non addirittura le immagini partendo da un modello cui dare un input (prompt per definizione)? Nessuno sa spiegarlo in modo più seducente di quanto Meta abbia fatto in una di quelle pagine cui ogni giorno per pigrizia o mancanza di tempo, applichiamo ciecamente il nostro consenso:
“L’intelligenza artificiale generativa (IA generativa) consente alle persone di creare rapidamente contenuti in modi nuovi ed entusiasmanti. Ad esempio, con l’IA generativa le persone possono creare facilmente nuovi contenuti, come immagini da condividere con gli amici, mentre le aziende possono generare risposte testuali alle domande dei clienti. L’IA generativa non è un database o una raccolta statica di informazioni, ma è costituita da modelli informatici. Questi modelli sono una forma di intelligenza artificiale addestrati sulla base di miliardi di informazioni provenienti da diversi tipi di dati, come testi e immagini. Studiando queste informazioni, l’IA è in grado di apprendere aspetti quali le relazioni e le associazioni esistenti tra i diversi tipi di contenuti. In questo modo, i modelli riescono a creare nuovi contenuti quando una persona fornisce loro istruzioni o domande. L’IA generativa può essere usata per creare un’ampia gamma di contenuti, come testi e immagini…”.
Intelligenza artificiale e dati personali
Ma l’intelligenza artificiale, pur partendo dall’aver già fatto tesoro di un’ampia serie d’informazioni, seppur con qualche lacuna, ha per sua “natura” una costante necessità di attingere a nuove informazioni, sempre più specifiche, da fonti molteplici perché esprima al meglio la sua creatività che, beninteso, nulla ha a che fare – e mai l’avrà – con quella umana. Ed è qui che entrano in ballo le nostre informazioni personali, e in particolare quelle ricavate dai rapporti interpersonali, quando la si applica in ambiti come i social network. Nell’obiettivo quindi di una “creazione responsabile dell’IA” – dove gioca un ruolo fondamentale l’etica – tutti i grandi del settore son dovuti correre ai ripari con iniziative come la creazione di team di ricerca interdisciplinari. E darne riscontro, oltre a tutta una serie di informazioni.
Con l’eccezione di Elon Musk, neo-proprietario di Twitter, che non ha perso l’occasione per esprimere l’ormai nota riluttanza al rispetto delle regole, rifiutandosi di fornire alcuna informazione in merito. Ma anche Apple e Linkedin, pur ottemperando all’invito, sono state evasive. Dal 25 agosto quindi chi vorrà potrà esprimere opposizione alla condivisione di informazioni ricavate da terzi, in uso dall’intelligenza artificiale applicata a Facebook e Instagram, compilando la scheda (nel link) sulle impostazioni del proprio profilo.
Digital Services Act: i campi di applicazione
Il DSA è un pacchetto di leggi che, prime nel mondo, regolano le grandi piattaforme digitali. Si rivolge quindi ai 19 principali colossi del web di Stati Uniti e Cina, da Facebook e Instagram, da Amazon a Tik Tok, da YouTube fino a Google, distinguendoli tra VLOP (Very Large Online Platform) e VLOSE (Very Large Online Search Engine), i motori di ricerca.
Chi non rispetta i 13 parametri, di cui queste aziende hanno dovuto già fornire informazioni, incorre in sanzioni che possono raggiungere il 6% del fatturato globale, se non la temporanea interruzione dell’attività. Ciò per fissare “una serie di paletti su trasparenza di algoritmi e pubblicità, lotta alla violenza online e alla disinformazione, protezione dei minori” e il tanto agognato stop alla profilazione, come illustra Wired.
“La pubblicità è quindi il primo e uno degli aspetti più sensibili del DSA che impone di non mostrare annunci profilati su orientamento sessuale, religione, simpatie politiche o altri dati sensibili, consente di bloccare quelli personalizzati ai minori”, permette di scoprire perché ci viene proposta una pubblicità e di sapere d’ora in poi chi la finanzia. Con l’obbligo di istituire un archivio delle inserzioni pubblicitarie.
“Altro punto critico è la trasparenza degli algoritmi. Perché un social network ci sta mostrando proprio quel post? O perché un ecommerce ci indirizza a quello specifico prodotto? Conoscere i meccanismi che regolano le funzioni di filtro, profilazione e di organizzazione dei contenuti è da sempre un pallino dell’Unione europea, che vuole restituire ai cittadini la libertà di stabilire in autonomia la rilevanza di un’informazione”. A tale proposito, anche Amazon sta introducendo un’opzione che consentirà di bloccare i sistemi di profilazione attraverso l’attivazione sul proprio profilo della voce “preferenze di raccomandazione”.
Il DSA impone poi una lotta senza quartiere a contenuti violenti, illegali e alle fake news. Per l’ecommerce, questo si traduce in una caccia a recensioni false e prodotti vietati o contraffatti, offrendo agli utenti la possibilità di segnalarli e chiarire i parametri in base ai quali rimuovono un contenuto.
Ma in tutto ciò non potevano mancare i ricorsi: ad aprirne la strada è Zalando, l’unica piattaforma made in Europe tra le VLOP (Very Large Online Platform). il 27 giugno Zalando ha fatto ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea contro questa designazione ritenendo di non dover quindi rientrare tra le aziende d’interesse del DSA e di non rappresentare un rischio sistemico.
E una questione spinosa che resta ancora da regolare a pieno è tuttavia il riconoscimento dei diritti d’autore di un’opera frutto di intelligenza artificiale; nodo insoluto che è intanto diventato materia di giurisprudenza (di cui avevamo già dato cenno).