di Antonio Facchin
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Non c’è arte più del cinema capace di imitare altra arte. E non ne esiste altra più coinvolgente: quando entri al cinema, il cinema entra in te, recita uno slogan. Ed è vero. Quando entri al cinema per “vivere” un’opera d’arte, ne esci diverso, migliore. Perché per buona durata del film ci si dimentica di sé, incantandosi d’altro.
Lo ha dimostrato Guillermo del Toro, il regista che La forma dell’acqua ha dato fama internazionale grazie all’Oscar, al Leone d’oro, e agli straordinari consensi di critica e pubblico di tutto il mondo. Anche quando nel 2021 tornò nelle sale con Nightmare Alley, La fiera delle illusioni, tratto dall’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham, e remake del film del 1947 diretto da Edmund Goulding, interpretato da una star dell’epoca, Tyrone Power.
Un film noir di forte impatto visivo grazie alle pennellate di rosso e ocra che si stemperano nei bui degli interni illuminati da una luce calda, indiretta, radente; o sull’oscurità della notte rischiarata appena dai lampioni. Dove il buio si fa metafora dell’oscurità umana perché il mostro, questa volta, è l’uomo. Dando vita a un racconto per immagini sinuoso, ipnotico, affascinante.
La fiera delle illusioni
Ne La fiera delle illusioni Guillermo del Toro racconta la parabola umana di Stanton “Stan” Carlisle, interpretato da un eccellente Bradley Cooper che, grazie al mentalismo – una forma di spettacolo che utilizza tecniche mirate per dare l’illusione di poter leggere la mente altrui – giunge dal nulla a esibirsi in locali di massimo livello. Da aiuto giostraio in un carnival, un freak show da carrozzone come quelli in circolazione nelle provincie americane degli Anni Trenta, gli anni della Grande Depressione, a un successo costruito rubando i segreti del mestiere a Pete, ex marito, e ormai in fin di vita per effetto dell’alcol, di Zeena, una veggente interpretata da Toni Collette, fra gli artisti incontrativi.
Successo condiviso con Molly (Rooney Mara), sua assistente dal momento in cui abbandonarono insieme carrozzone e colleghi. Successo “minato” un giorno da Lilith Ritter, un’eccentrica psicologa dal nome simbolico, che lo smaschererà in pubblico. L’entrata in scena di una Cate Blanchett a metà tra Veronica Lake (la vicenda si svolge tra il ’39 e il ’41 quando era star incontrastata dei film noir dell’epoca) e un ritratto di Tamara de Lempicka darà così inizio a una partita a scacchi, un sottile gioco psicologico tra i due che porterà in superficie i loro lati più oscuri. E per raccontarlo il regista adotta una forma che dà maggior valore al contenuto. Perché mentalismo è anche quella branca della psicologia che studia i processi di percezione e pensiero a partire dalle immagini mentali. Quelle ad esempio del protagonista che non riesce a sottrarsi a un passato che “brucia”.
Sceneggiato da Guillermo del Toro con la scrittrice Kim Morgan, sua moglie, La fiera delle illusioni si avvale ancora una volta del contributo di Dan Laustsen, il direttore della fotografia candidato all’Oscar per La forma dell’acqua.
Con Bradley Cooper, Cate Blanchett e Toni Collette, ne La fiera delle illusioni recitano Rooney Mara, Willem Dafoe, Ron Perlman, Paul Anderson e Richard Jenkins. Una curiosità: in omaggio al padre, protagonista della pellicola del ’47, Romina Power, in una lussuosa mise d’antan, compare fra i presenti nella sala newyorkese in cui Stan incontra per la prima volta Lilith.