Metaverso: un mondo virtuale in dialogo con la realtà

Una scena di Ready Player One (2018), film di Steven Spielberg che si ispira al metaverso
Una scena di Ready Player One (2018), film di Steven Spielberg che si ispira al metaverso

di Antonio Facchin

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Il termine metaverso (composto dal prefisso greco meta nel significato di oltre, e parte del calco dall’inglese universe) compare per la prima volta nel 1992 nel romanzo di fantascienza Snow Crash di Neal Stephenson, dove si teorizzava un mondo d’interconnessione tra individui. Sulla sua base il metaverso diventava uno spazio “alternativo” dove poter costruire, in tre dimensioni, tutto ciò che si desiderava. Di fatto il metaverso è un’evoluzione di Internet che sfrutta l’utilizzo di visori per la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR, iniziali di augmented reality), nonché di guanti dotati di sensori tattili.

Descritto come una rete fatta di “mondi virtuali collaborativi e immersivi, dove un numero illimitato di utenti può usare avatar per interagire, lavorare, effettuare acquisti e partecipare a varie attività”, il metaverso è uno spazio virtuale dove vivere una seconda vita; quanto prometteva, pur in scala minore, Second Life, applicazione ludica in voga all’inizio del nuovo millennio, che ne fu l’elitario precursore.

Tanto clamore per nulla?

Il recente interesse per lo sviluppo del metaverso deriva in buona parte dal Web3 (o Web 3.0), un concetto di iterazione decentralizzata di Internet. Web3 e Metaverse sono stati usati come slogan per esagerare i progressi nello sviluppo di varie tecnologie e progetti correlati, a scopo pubblicitario. Insomma, attorno al concetto di metaverso si è creato ciò che il neologismo hipe meglio esprime.

Tuttavia la tutela della privacy in relazione alla sicurezza degli utenti sono istanze che hanno riportato il metaverso alla realtà, concretizzandosi in prossime ineludibili sfide che le multinazionali dei social media, e del loro indotto, si troveranno presto a dover fronteggiare.

Il metaverso rappresenta dunque una nuova frontiera digitale che potrebbe rivoluzionare il modo in cui interagiamo con il mondo virtuale. Ma non è ancora di facile accesso.

Tre metaversi possibili

Nonostante Facebook trasformandosi in Meta abbia programmaticamente formalizzato il passaggio del “tesoro” d’informazioni personali raccolte negli anni da Facebook  in un sistema in grado di creare un nuovo stile di interconnessione e socializzazione, l’accesso al “metaverso Facebook” non è ancora a punto, stando almeno a quanto riferisce l’esperto del mondo digitale Salvatore Aranzulla. E, in ogni caso, richiederà – oltre a un prevedibile account Facebook – l’imprescindibile utilizzo di un visore VR Quest 2, quello prodotto da un’azienda (Oculus) del gruppo Meta.

The Sandbox, videogioco in origine, è invece a tutti gli effetti un metaverso su blockchain, dove i creatori di contenuti possono monetizzare i traguardi raggiunti, interagendovi senza specifiche competenze tecnico-informatiche. L’accesso è gratuito: basta creare un proprio account sulla base di uno preesistente (sia pure partendo da quello di Google) per prender parte anche al suo marketplace, con tanto di comparto immobiliare. The Sandbox metaverse offre infatti la possibilità di acquistare terreni, pagandoli in cryptovaluta, dove impiantare una propria attività virtual-commerciale. Unico requisito, il possesso di un crypto-capitale.

Ma il metaverso in assoluto più “democratico” è Decentraland: uno spazio virtuale decentralizzato (calco dall’inglese, sinonimo di decentrato) e autogestito, disponibile alla fruizione anche in modalità guest.

Un sistema virtuale in parte già reale

Il marketing ci ha comunque già abituati a considerare il metaverso quale “tecnologia” emergente in grado di rivoluzionare l’interazione con la realtà. E in effetti ecco alcuni campi in cui già viene applicato:

  1. Formazione: Il metaverso si impiega nella formazione e addestramento di nuovi professionisti, in modo più efficiente e coinvolgente di prima. Grazie all’utilizzo di visori per la realtà virtuale (VR) e realtà aumentata (AR) l’addestramento diventa  infatti “immersivo” e più impressivo.
  2. Lavoro: Il metaverso può essere utilizzato per creare ambienti di lavoro virtuali, dove i dipendenti possono collaborare e interagire in modo più coinvolgente rispetto alle videoconferenze tradizionali. Esiste tuttavia già una “letteratura” sui danni che il virtuale sta recando al mercato del lavoro.
  3. Commercio: Il metaverso può offrire esperienze di acquisto virtuali coinvolgenti, dove gli utenti possono conoscere prodotti in modo più dettagliato e interagire con essi in forma inedita. Fermo restando che il “capitale umano” da sempre costituisce il migliore mezzo di trasmissione di marketing al mondo. La principale differenza in questo caso la fa la valuta: nel metaverso virtuale anch’essa.
  4. Intrattenimento: Il metaverso può essere impiegato per creare esperienze di intrattenimento più coinvolgenti se applicato a giochi, concerti, spettacoli teatrali e mostre d’arte “immersive” (come abbiamo già mostrato).

Anche se l’impiego del metaverso, o quantomeno della realtà aumentata, più importante si esprime al momento attuale in campo tele-medico; senza contare i vantaggi nella formazione del personale specialistico, le simulazioni di intervento, le sperimentazioni, le riabilitazioni con l’ausilio di sensori tattili. Col vantaggio, in conclusione, anche dell’abbattimento di più di un costo di gestione.

Metaverso: un mondo virtuale in dialogo con la realtà

Il ruolo della realtà aumentata nella telemedicina

Un recente studio di Boston Consulting Group dal titolo The Health Care Metaverse Is More Than a Virtual Reality, come riferito da La Repubblica nel marzo scorso, descrive lo stato dell’arte dell’applicazione del metaverso nelle scienze mediche. Da questo studio emerge che le applicazioni attuali in campo sanitario riguardano principalmente le cosiddette “realtà estese” (XR), ovvero la combinazione delle esperienze visuali e immersive offerte dalla realtà aumentata (AR), realtà virtuale (VR) e realtà mista (MR). Ma possono anche servirsi delle tecnologie e applicazioni del Web3, come la blockchain (che nel caso specifico diventa un registro digitale in grado di memorizzare dati da condividere) e risorse virtuali. E degli M-worlds, ovvero i ‘luoghi’ virtuali dove incontrarsi e creare contenuti nella condivisione di competenze. Con la facoltà di prescindere sempre da limiti spazio-temporali.

L’articolo riporta in conclusione alcuni esempi concreti: “Tra i prodotti già disponibili sul mercato ci sono quelli realizzati da aziende che lavorano con la Realtà Aumentata per l’assistenza alle procedure mediche, incluse la preparazione chirurgica e l’esecuzione di operazioni alla spina dorsale. Ma ci sono anche tecnologie che consentono una visualizzazione completa dell’anatomia del paziente, che porta a migliorare i tassi d’errore, la velocità e i risultati. Altre applicazioni possono riguardare, invece, la riabilitazione, le terapie fisiche, i trattamenti di ansie, fobie e stress post traumatico. E poi c’è il primo esempio tutto italiano, il Metaospedale, realizzato in onore del personale ospedaliero di Brescia e Bergamo, che permette al paziente di consultare la sua situazione clinica, effettuare consulenze con il supporto di un visore e di ricevere visite virtuali da parenti e amici”.

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