Sick of Myself al cinema: Il narcisismo è il più subdolo pericolo dei nostri tempi

di Antonio Facchin

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Distribuito in poche sale cinematografiche e soverchiato dalla promozione delle kermesse cinematografiche di Venezia e Roma, Sick of Myself, film scritto e diretto da Kristoffer Borgli, meriterebbe miglior attenzione se non altro per l’attualità (e gravità) di quanto racconta: la parabola umana di due ragazzi che il giovane sceneggiatore e regista norvegese porta in scena, senza inventare nulla, per trattare di narcisismo patologico; concorrendo per un certain regard al penultimo Festival di Cannes.

Eirik Sæther e Kristine Kujath Thorp sono Thomas e Signe in Sick of Myself
Eirik Sæther e Kristine Kujath Thorp sono Thomas e Signe in Sick of Myself

Narcisismo di coppia

Signe e Thomas sono due giovani scandinavi che vivono un rapporto di coppia consolidato dalla complicità che hanno saputo instaurare, pur minato nello stesso tempo da un difetto di stima reciproca che sfocia in una competizione strisciante sul piano del talento personale. Mentre una sera festeggiano il compleanno di lei in un raffinato locale ordinando il più costoso dei vini – entrambi attratti dal lusso e dall’ebbrezza che reca rubarne i simboli – orchestrano il furto della bottiglia che diventerà mero trofeo in una festa tra amici: poco importa del pregiato contenuto. E se il furto attira l’attenzione generale su Thomas, che si improvvisa lepre inseguita da un solerte cameriere che grida in strada, Signe, che fuma una sigaretta a pochi passi dal luogo del misfatto, passa inosservata; e ciò la sconcerta. Non vuole essere da meno di Thomas.

E come in una tragedia moderna, nonostante Sick of Myself sia programmaticamente una unromantic comedy in forma di body horror movie, bastano poche battute per rendere esplicito l’argomento trattato: narcisismo patologico ed empatia, due concetti strettamente correlati al punto che i narcisisti, incapaci di provarla, simulano l’empatia, quella preziosa capacità che permette di stabilire un vero rapporto con gli altri. E lo fanno per lo più inconsapevolmente, ma certi di essere i più abili fra i dissimulatori.

Eirik Sæther
Eirik Sæther

Il profilo cinematografico di un narcisista patologico

Signe vive con noia la sua attività di gestore di una caffetteria in cui un giorno irrompe una donna azzannata alla gola da un cane. Le tampona d’istinto la ferita che l’avrebbe condannata di lì a poco a morte. Ma anche in una circostanza  così tragica agisce meccanicamente; la sua freddezza rivela la sua totale mancanza di empatia. Diventa suo malgrado un’eroina per la stampa locale, e compiaciuta dell’attenzione conquistata assume tutta una serie di comportamenti anomali a partire da quello di camminare in strada coperta del sangue schizzatole inevitabilmente su viso e camicia pur di richiamare l’attenzione altrui; un’attenzione “diversa” da quella che la sua naturale bellezza già le assicurava.

Ma una volta giunta a casa si deve misurare con la difficoltà di staccare gli occhi di Thomas dal suo computer: pur coperta di sangue, rischia di passare per l’ennesima volta inosservata, a causa dei deficit d’empatia del partner. In pochi giorni la sua fama d’eroina, pur alimentata dal suo costante impegno di manipolazione di quanto accaduto, si estingue. Molesta quindi un cane perché la azzanni, come la donna da lei soccorsa, al solo scopo di tornare sulle pagine dei giornali; questa volta da vittima.

Una scena di Sick of Myself
Una scena del film

Finché una sera, durante un’elegante cena che finalmente consacra Thomas artista emergente  – grazie a quanto ha creato con i loro furti di poltrone e lumi rigorosamente di design – Signe si sente ancora una volta l’ombra di Thomas. Così per sottrargli la scena simula un grave attacco di allergia. Ma Thomas sa che l’allergia è inesistente, e si trova in breve tempo a fronteggiare una situazione in cui passa dall’essere un celebrato artista a carnefice di una vittima presunta.

Kristine Kujath Thorp
Kristine Kujath Thorp

Intanto la fama di Thomas cresce creando nella giovane coppia una distanza sempre più profonda. L’anonimato le pesa più della realtà che non sopporta, così che Signe cerca nel web una possibile soluzione: nel deep-web trova la possibilità di procurarsi illegalmente un ansiolitico di fabbricazione russa ritirato dal mercato per i suoi effetti collaterali devastanti sulla pelle.

Sick of Myself

Nell’era in cui apparire è più importante che essere, meglio deturparsi per distinguersi dai più e riappropriarsi definitivamente di una scena tanto agognata, pur a caro prezzo. Per il resto le immagini del film sono eloquenti; basti solo aggiungere che Signe, ritenuta ormai la sfortunata vittima di un male esclusivo e misterioso, diventa un fenomeno da tabloid e un’improbabile “modella inclusiva”. Vivendo sempre in bilico tra la “sua” odiata realtà e una fervida e vendicativa immaginazione.

Kristine Kujath Thorp in Sick of Myself

Dallo specchio d’acqua a quello del nostro tempo

Se gli antichi greci al narcisismo dedicarono un mito, un motivo c’è. Ma se allora il limite era la superficie riflettente di uno specchio d’acqua, oggi è lo schermo del nostro smartphone; quello strumento che ci aiuta a ingannare il prossimo, ci propone in forma estenuante modelli e comportamenti improbabili, assorbe tutta la nostra attenzione a discapito dei rapporti umani, ci promette l’esclusività. Insomma, dalla mela di Adamo ed Eva alle pillole di sintesi –  che poi siano da discoteca o da deep-web la differenza la fa un innocuo corriere – ci si è arrivati. C’è voluto solo del tempo. Quello in cui il concetto di narcisismo si è nel frattempo liberato da connotazioni estetiche.

Il profilo realistico di un narcisista patologico

E se anche Sigmund Freud riconosce nello sviluppo dei bambini una sana e legittima fase egocentrica, problemi (seri) nascono quando questa, anziché scemare col tempo, si trasforma in un narcisismo adulto a rischio di patologia. Con comportamenti che comprendono una costante, insaziabile, pretesa d’attenzione, unita al disinteresse per gli altri (se non al costante tentativo di minare l’autostima delle persone più vicine); un rapporto difficile con la realtà che porta a negarla, circoscriverla, mistificarla e a manipolarne gli eventi, e l’inclinazione ad affabulare e parlare di sé come di una vittima alla costante ricerca di un capro espiatorio. Ciò nel rifiuto di assumersi alcuna responsabilità e non fare mai tesoro dei propri errori.

E ancora, la capacità di declinare l’invidia nelle sue numerose sfumature, una voglia smodata di “eliminare” gli altri che rasenta il delirio d’onnipotenza (palese, per esempio, nel comportamento di alcuni capi di stato). Infine un implacabile sentimento di rabbia e desiderio di punire, un’ambizione acritica alimentata da mitomania, e una totale assenza di empatia che nasconde un’atavica insicurezza. Il tutto vissuto sulla base di un eterno conflitto interiore tra l’apparire e l’essere, in una sintesi per cui la definizione borderline appare riduttiva.

Kristine Kujath Thorp in Sick of Myself

E per quanto Sick of Myself abbia il merito di rappresentare una situazione di complessa gravità, la riduce per esigenze cinematografiche all’interazione tra due soggetti simili fra loro. Più frequente è invece il caso in cui la coppia non sia omogenea come quella rappresentata, e tra i due uno subisca le continue angherie dell’altro, con indicibile danno e sofferenza, e la necessità di ricorrere a metodi di self-empowerment mai a portata di mano.

Kristine Kujath Thorp in Sick of Myself

Ma un rimedio c’è: la più ferma decisione di uscirne

Il narcisismo patologico è come una droga: dà dipendenza, qualunque sia l’età anagrafica di chi lo esprime. Anzi, le nuove generazioni sembrano averne sviluppato qualche anticorpo, nonostante la fisiologica maggiore esposizione a rischi. La psicologia consiglia generalmente terapie alternative alla medicina classica, come quella olistica (suggerita nel film) o la bioenergetica.

Ma l’efficacia della cura dipende solo dalla ferma volontà del singolo individuo che, se non per una scelta ben determinata, va altrimenti in senso opposto. Un po’ come se – per tornare al linguaggio cinematografico – in un narcisista patologico il personaggio sostituisse la persona perché “l’attore” non abbandona più il ruolo che si è dato, che così gli resta attaccato addosso. Forse è per questo che la recitazione – quella professionale – ne è naturale evoluzione e miglior rimedio. Ma con l’avvento dei social network tutti siamo diventati persone a rischio. Anche se i metodi per difendersi – e difendere gli altri da noi stessi – ci sarebbero: pochi e semplici. Basterebbe una sana abitudine a riflettere sull’origine e natura delle proprie pulsioni, unita a un minimo di “buona” volontà e controllo del pensiero. Ma prima di tutto quello di darsi meno importanza.

Kristine Kujath Thorp in Sick of Myself
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