di Antonio Facchin
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Cento giorni di sciopero: questa per ora l’iniziativa degli sceneggiatori di stanza a Hollywood, cui si sono presto uniti gli attori, contro la minaccia della perdita dei residuals, diritti d’immagine sulle repliche delle serie tv in streaming sulle principali piattaforme quali Amazon, Netflix e Disney, che hanno ormai soppiantato gli storici marchi di produzione cinematografica nella principale industria dell’entertainment al mondo, trasformando sceneggiatori e attori da classe media a nuovi poveri. A sostenere la protesta anche Damien Chazelle, presidente di giuria della 80° Mostra internazionale d’Arte Cinematografica in corso a Venezia, il più giovane della sua storia.
Dello sciopero in corso ha fatto le spese Luca Guadagnino, regista di fama internazionale vincitore con il suo Bones and All del Leone d’argento nella precedente edizione della Mostra, che avrebbe dovuto aprire quella in corso con Challengers. Ma la sua ultima, ambiziosa, opera non era pronta per tempo. Così si è dovuto ricorrere a un repentino cambio di programma ormai noto. Ma lo sciopero non dipende solo dalla “minaccia” dell’intelligenza artificiale, il cui ricorso ha già “ringiovanito” Harrison Ford nell’ultimo Indiana Jones o Mark Hamill nel film The Mandalorian. L’iniziativa nasce dalla profonda trasformazione che tutto il settore ha subito negli ultimi anni con l’avvento delle piattaforme streaming che hanno finito per abbassare, fin quasi ad annullare, le garanzie conquistate da uno sciopero analogo nel 1960 quando a rappresentare gli attori ce n’era uno che sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti: Ronald Reagan.
Con lo streaming tutto è cambiato
Si può affermare che l’era dello streaming abbia cambiato tutto, creando una situazione degna, paradossalmente, di un soggetto cinematografico. Le produzioni sono infatti raddoppiate se non triplicate, ma ciò non ha recato alcun vantaggio a una buona parte degli artisti che vi lavorano. “Eravamo la classe media, ora siamo i nuovi poveri” denuncia Adam Conover, noto protagonista della serie Sky Adam il rompiscatole, membro di entrambi i sindacati in sciopero e del comitato per le negoziazioni. “Stanno trasformando le nostre carriere in lavoretti saltuari a chiamata, lo fanno piangendo miseria, eppure le entrate per loro non sono mai state così alte”.
Stando infatti a una stima riferita da Brian Cranston, l’indimenticato protagonista della serie tv Breaking Bad, Netflix nel 2022 avrebbe ricavato utili per nove miliardi di dollari, Disney per dodici. «Capisco che l’ad della Disney Bob Iger possa non vedere le cose come le vediamo noi, ma gli chiedo di starci a sentire, di provare ad ascoltare».
Il nodo dei residuals
Non c’è dubbio che il primo problema con cui un attore debba fare i conti, ovunque nel mondo, sia l’insicurezza. Ma nel 1960 — l’ultima volta che attori e sceneggiatori avevano scioperato uniti – i sindacati erano riusciti ad ottenere i cosiddetti residuals, ovvero i diritti connessi al copyright per i quali si percepiva una percentuale dei guadagni ottenuti dalle case di produzione ogni volta che un titolo tornava in replica. «Con i residuals — continua Conover — un attore viveva dignitosamente nei periodi di magra, fra un lavoro e l’altro, era possibile pagare il mutuo, mantenere la famiglia. Ora arrivano assegni di 50 centesimi».
La mancanza di un’entrata certa per molti comporta la perdita dell’assicurazione sulla salute in un Paese in cui non esiste il servizio sanitario pubblico. «Ventiseimila dollari è il tetto minimo per avere l’assicurazione sanitaria» ha dichiarato alla stampa Matt Damon che sostiene l’iniziativa con un nutrito gruppo di colleghi ben noti. «Spesso sono proprio i diritti di sfruttamento a portare molti attori sopra quella soglia. Perdere questi assegni è perdere il diritto alla salute, ed è inaccettabile». E non a caso il Generale Leslie Groves di Oppenheimer ha abbandonato la première londinese del kolossal di Christopher Nolan attualmente nelle sale, insieme ai colleghi Cillian Murphy ed Emily Blunt il giorno in cui gli attori sono scesi in sciopero: lo scorso 12 luglio.
La rilevazione dei dati e il rifiuto di condividerli
Le major dello streaming (Amazon, Netflix e Disney prime fra tutte) sfruttano infatti i contenuti ma non forniscono i dati sugli abbonamenti, né quelli relativi alle visualizzazioni, che richiedono un’insolita tempistica e un sofisticato sistema di rilevazione che l’Auditel ha messo a punto in Italia solo recentemente. Se al problema della difficoltà di quantificare le visualizzazioni si aggiunge quello del rifiuto da parte delle major dello streaming di condividere i dati in loro possesso, ecco che a pagarne le spese sono irrevocabilmente gli addetti ai lavori.
Chris Browning, attore che ha lavorato insieme a Will Smith in Bright, film che Netflix proclama fra i più visti, dice di aver ricevuto un assegno da 271 dollari. «Solo qualche anno fa sarebbe stato di 25 mila».
«Quello che era stato deciso ai tempi della tv generalista ora non ha più senso — conclude Conover — abbiamo bisogno di un accordo che rifletta i cambiamenti dell’era dello streaming. Quanto durerà lo sciopero? Non lo so, è irrilevante. L’unica cosa importante è il diritto alla dignità». Ma è chiaro che i danni all’indotto e all’economia già manifesti indicheranno una via alla soluzione.
Il rinnovo del contratto
La protesta tuttavia non è solo legata alla rimodulazione dei residuals. Lo sciopero degli sceneggiatori è iniziato lo scorso 2 maggio e ogni giorno da allora, in centinaia, sfilano e fanno presidi davanti ai cancelli delle major Netflix e Amazon, da quando i contratti della categoria sono scaduti senza che ci fosse un accordo su quello nuovo. Gli artisti chiedono aumenti salariali, protezione dall’intelligenza artificiale e una rimodulazione delle retribuzioni e dei diritti d’autore per le opere di grande successo presenti sulle principali piattaforme. E questo in un clima da pandemia, tra picchetti, première cancellate e tanti lavoratori disoccupati, come raccontato da Massimo Basile su Repubblica.
La minaccia dell’intelligenza artificiale
E poi c’è la minaccia dell’intelligenza artificiale . Ne avevano paventato effetti apocalittici, forse al solo scopo che se ne parlasse. Ne abbiamo con timore valutato le potenzialità, soprattutto nella manipolazione delle immagini e – di conseguenza – dell’informazione. Si sono sollevate voci che ne invocavano normative sovranazionali, confidando nell’europea – la prima mirata – che tuttavia non è riuscita a risolvere le difficoltà nell’attribuzione dei diritti d’autore di un’opera generata da intelligenza artificiale, e quelli di alcuni casi specifici di tutela della privacy. Ultimi e non ultimi per importanza, i timori su come uno sviluppo incontrollato dell’intelligenza artificiale potrà cambierà il mondo del lavoro. Insomma, tutto abbiamo temuto, tranne lo sciopero che sta bloccando l’industria dell’entertainment prima al mondo da ben 100 giorni.
Sceneggiatori e attori chiedono quindi garanzie per far sì che l’AI non sottragga posti di lavoro. Anche se il punto più critico resta stabilire chi sia il proprietario dell’immagine di un attore nel caso in cui l’AI la riproduca. Una recente sentenza d’oltreoceano tuttavia non ha attribuito un nuovo copyright a un’opera frutto di intelligenza artificiale, ritenendo valido quello originale.
Sta di fatto che finché lo sciopero durerà solo i registi non aderenti al sindacato potranno promuovere, in mostre e festival, i film già ultimati .