L’Intelligenza Artificiale fa paura anche ai suoi sviluppatori: allarme dagli USA

La foto fake di Donald Trump strattonato dalla polizia
Donald Trump in un’immagine rielaborata con AI

di Antonio Facchin

In un articolo apparso recentemente sul Time firmato da Roger McNamee, personalità di spicco nel campo dell’Information Technology americana, si legge di una petizione promossa da un nutrito gruppo di “tecnici” della Silicon Valley. Si tratta in sostanza della richiesta di una moratoria di sei mesi sull’attuale sviluppo forsennato dell’intelligenza artificiale nelle applicazioni e piattaforme destinate al mercato.

Principale oggetto della petizione è GPT-4, la più evoluta piattaforma che applichi l’intelligenza artificiale alla riproduzione del linguaggio, i cui possibili danni erano stati segnalati anzitempo dagli stessi sviluppatori. McNamee rivela per esempio che, già nel 2017 in qualità di esperto, aveva sollevato in una seduta del Congresso il problema delle eventuali conseguenze di un utilizzo sconsiderato della Artificial Intelligence. Tentativo purtroppo, ed evidentemente, andato a vuoto.

I danni causati dall’AI sono di fatto già conclamati. In primis nel mondo del lavoro, per esempio nella selezione di risorse umane troppo spesso affidata ad algoritmi che finiscono per ingenerare discriminazioni. Discriminazioni riscontrabili anche per quanto riguarda l’assegnazione di mutui fondiari, anch’essa ormai sempre più appannaggio degli algoritmi e dei loro rigidi parametri.

McNamee sottolinea altresì la massiccia contaminazione da parte dell’AI nel mondo dell’informazione, fino a sovvertirla, e punta anche il dito sulla pericolosità del suo utilizzo nei social network come Instagram, Snapchat e Tik Tok, diffusissimi tra i più giovani. Piuttosto che la moratoria richiesta dalla petizione, McNamee reclama quindi l’urgenza di un approccio critico, se non addirittura etico, onnicomprensivo, che riporti in auge princìpi quali la tutela del consumatore, la difesa dell’ordine pubblico e della Democrazia: temi cari all’opinione pubblica americana.

Quanto al nostro Paese, anche in Italia l’utilizzo sconsiderato dell’intelligenza artificiale sta producendo effetti a dir poco “peculiari”. Malgrado il Garante della Privacy abbia posto dei limiti alla diffusione di ChatGPT, ricorrendo a un prodotto evidentemente analogo, da qualche giorno è per esempio possibile dialogare con un Gianroberto Casaleggio redivivo.

Papa Bergoglio in un’immagine rielaborata con Midjourney

E che dire delle proprietà dell’AI applicate alle immagini grazie, per esempio dall’algoritmo Midjourney? Alludiamo nello specifico a quel Midjourney complice il quale, nei giorni scorsi, abbiamo visto Papa Bergoglio paludato in un lussuoso piumino d’oca, poi affacciato da degente al Policlinico Gemelli. Due fake creati ad arte, che hanno però ingannato una marea di persone.

Così come la fotografia di Donald Trump scapigliato e indegnamente strattonato dalle forze dell’ordine in netto anticipo sul 5 aprile – giorno della sua deposizione davanti ai giudici federali. Fotografia falsa anch’essa, e tuttavia capace di convincere – e indignare – tantissime persone, a riprova di quanto l’immagine riesca a connotare situazioni, suscitare emozioni e, in ultima analisi, scatenare reazioni. Recente è anche l’articolo di Vera Mantengoli su Repubblica in cui Barbara Zanon svela che il suo reportage fotografico dall’Ucraina è falso in quanto realizzato integralmente al computer, seppur del tutto verosimile.

Da quando sono divenute manipolabili “ad arte”, a maggior ragione con Midjourney al cui confronto Photoshop è ormai preistoria, la veridicità delle immagini è sempre più difficile da determinare. E, in un contesto geopolitico incandescente come quello in cui viviamo, la questione dei falsi sempre più verosimili, non solo fotografici ma anche e soprattutto video, è ogni giorno più seria e inquietante. Basti ricordare il celebre video “deep fake” che ha per protagonista l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Tanto reale da far paura, e tuttavia già obsoleto rispetto ai passi da gigante che ha compiuto l’AI nei tre anni che sono trascorsi dalla realizzazione di quel video.

Insomma, se prima attraverso gli algoritmi si puntava alla “quantità” per stordire il consumatore (ed elettore), ora si predilige la qualità con effetti ben più pericolosi e imprevedibili.

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