La profezia di Umberto Eco sui talk show “osteria di paese”

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Il semiologo Umberto Eco (1932-2016)

di Marco Zonetti 🖋️

Mentre ferve il dibattito sugli opinionisti da talk show, e la Commissione di Vigilanza Rai presieduta da Alberto Barachini (Fi) si appresta a votare una risoluzione per regolamentarli – sempre che non vi sia un passo indietro vista la levata di scudi dei direttori e delle firme delle “testate autorevoli” contrattualizzati negli stessi talk e che forse hanno paura di perdere i remunerativi compensi – appaiono quanto mai attuali le parole pronunciate al Senato quasi trent’anni fa, nel 1995, dal mai abbastanza compianto Umberto Eco.

Ci riferiamo alla relazione del semiologo presentata nel corso di seminari organizzati per l’appunto dal Senato sotto la presidenza di Carlo Scognamiglio, relazione poi pubblicata con il titolo Sulla Stampa anche nella raccolta Cinque scritti morali edita da Bompiani.

Disquisendo del “cambio radicale del messaggio politico il quale, assumendo i modi del dibattito e della rissa televisiva, non è più cauto, ma pittoresco e immediato”, ecco che Eco utilizzava un “paragone irriverente” analizzando il “meccanismo psicologico normale nell’osteria di paese che, se qualcuno ha alzato troppo il gomito e dice una prima frase imprudente, tutto l’uditorio farà del suo meglio per stimolarlo e portarlo a passare ogni limite. Questa è la dinamica della provocazione che si instaura nei talk show […]”. E aggiungeva: “metà dei fenomeni che oggi stiamo definendo come ‘invelenimento della lotta politica’ provengono da questa dinamica incontrollabile” e “nel vortice, i lettori” – e ci permettiamo noi di aggiungere gli spettatori – “dimenticano la dichiarazione specifica; ma quello che rimane a far costume è il tono del dibattito, la persuasione che tutto sia permesso“.

Parole d’inquietante chiaroveggenza, se pensiamo che risalgono a quasi trent’anni fa e che invece sembrano pronunciate oggi stesso. La risoluzione che sta per essere votata in Commissione di Vigilanza è tesa infatti, fra le altre cose, proprio a scongiurare nei talk show della Rai le rappresentazioni teatrali della provocazione televisiva, nelle quali la rissa è elemento determinante. Quella sensazione di “vale tutto”, insomma, che ormai costituisce la cifra stilistica dei cosiddetti programmi di approfondimento, dove tra i vari ospiti sembra vigere la legge dell’occhio per occhio, che però porta solo a una maggiore cecità.

Lo abbiamo visto durante la pandemia, con i battibecchi tra le varie “virostar” che spesso hanno finito solo per confondere le idee agli italiani già impauriti e disorientati, e lo vediamo oggi con il dibattito sulla crisi ucraina, nel quale la guerra vera e propria si affianca a quella televisiva ingaggiata tra i vari opinionisti nei talk modello “osteria di paese” per dirla con Eco.

Un apparentamento che l’autore del Nome della Rosa avrebbe poi in un certo senso esteso ai social media, i quali secondo il semiologo “danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».

Il rapporto tra l’osteria dei talk e il bar dei social è quanto mai stretto, visto che le clip tratte dai vari programmi televisivi vengono poi abilmente decontestualizzate per poi essere pubblicate a raffica sulle varie piattaforme digitali, agitando ulteriormente le acque dello scontro, creando nuove lacerazioni nell’opinione pubblica già divisa e soffiando sulle fiamme del già turbato equilibrio dei commentatori.

Concludendo la sua relazione, nel 1995 Umberto Eco sottolineava come “dalla crescita e dalla crisi” dei nostri concittadini dipendesse “il futuro della nostra società”, e invitava quindi l’informazione e il mondo politico, “a guardare più al mondo, e meno allo specchio”. 

Vista l’attuale autoreferenzialità del mondo politico e di quello dell’informazione, nei quali regnano più che mai le conventicole amicali e i circoletti televisivi nei quali sempre i soliti noti se la cantano e se la suonano, anche questo mirabile auspicio – ahinoi – è caduto nel vuoto. 

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