Giovanni Valentini racconta il giornalismo italiano

di Antonio Facchin

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Cinquant’anni di storia del giornalismo italiano in forma di memoir: pochi per rendere un quadro organico, ma sufficienti a raccontare la fondazione de La Repubblica e l’importante esperienza maturata al fianco di Eugenio Scalfari. Giovanni Valentini, firma storica de Il Sabato del Villaggio ora sul Fatto Quotidiano, è in libreria da qualche settimana con Il romanzo del giornalismo italiano (cinquant’anni di informazione e disinformazione) pubblicato per i tipi de La Nave di Teseo.

Il memoir svela qualche retroscena – limitandosi probabilmente agli essenziali – dell’era Scalfari alla guida del quotidiano da lui fondato, che rese nell’arco di 40 anni “un giornale d’opinione di massa … la voce più rappresentativa e autorevole del riformismo democratico”. Ma che ricorda anche quando Carlo Caracciolo gli assegnò, d’accordo con Scalfari, la direzione de L’Espresso – un calice amaro – dopo aver ricoperto quella dell’Europeo e dei quotidiani veneti del Gruppo. Nomina cui poi seguì quella di direttore editoriale di Tiscali e l’incarico di portavoce dell’Antitrust.

Giovanni Valentini, autore de 
Il romanzo del giornalismo italiano. Cinquant'anni di informazione e disinformazione 
(foto©Dagospia)
Giovanni Valentini, autore de
Il romanzo del giornalismo italiano. Cinquant’anni di informazione e disinformazione
(foto©Dagospia)

Esperienze che si dipanano in parallelo alla storia più recente del Paese e all’esperienza umana di chi, nel bene e nel male, ne è stato protagonista. Da Carlo Caracciolo, editore illuminato, ai Presidenti della Repubblica Sandro Pertini, Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi in primis. Ai colleghi Antonio Padellaro, Umberto Eco e Paolo Pagliaro (proprio l’autore del Punto di Ottoemezzo). Dall’Antonio di Pietro di Mani pulite al Renato Soru protagonista della scena sarda. Fino agli anni della Presidenza del Consiglio di Silvio Berlusconi, con Ezio Mauro alla direzione di Repubblica e Carlo De Benedetti alla guida del Gruppo L’Espresso.

Giornalismo d’inchiesta, organi di garanzia e querele temerarie

Una testimonianza, quella di Giovanni Valentini, che comprova quanto la minaccia della querela preventiva, se non temeraria (quella intentata cioè allo scopo di minaccia o ritorsione economica), sia da tempo utilizzata in Italia per intimidire voci “non conformi”, fra cui i giornalisti d’inchiesta.

Come le due querele a settimana che ricevono Sigfrido Ranucci e Report, per sua stessa ammissione in un’intervista rilasciata a Concetto Vecchio per Repubblica all’indomani della beffarda audizione in commissione di vigilanza Rai. Report che vanta anche il record di 19 cause intentate per 36 minuti di servizio d’inchiesta su Flavio Tosi, l’ex sindaco di Verona.

Un fotomontaggio dell' Agenzia Dire dell'audizione di Sigfrido Ranucci 
in Commissione parlamentare di vigilanza Rai del 7 novembre scorso
Un fotomontaggio dell’ Agenzia Dire dell’audizione di Sigfrido Ranucci
in Commissione parlamentare di vigilanza Rai del 7 novembre scorso

E che dire della richiesta di risarcimento danni di ben 50 milioni di euro avanzata nel 2003 da Mediaset a seguito di un’inchiesta di Giovanni Valentini sulla posizione egemone (per usare un eufemismo) del Biscione nel mercato pubblicitario, seguita a una querela per diffamazione dalla quale il giornalista fu scagionato? E dell’accanimento giudiziario scatenato dalla sua ricostruzione del “caso” Marta Russo: la studentessa dell’Università La Sapienza raggiunta alla nuca da un proiettile senza alcun movente, nella primavera del 1997? Querele che, Valentini sottolinea, sono la “spada di Damocle che incombe sui bilanci delle aziende editoriali e quindi sulla libertà d’informazione”.

Potere, propaganda e affari

La Storia insegna che il potere ha da sempre manovrato il consenso attraverso la propaganda, dimostrando così fino a che punto il confine tra informazione e disinformazione sia sempre stato labile. Tanto più oggi. Questo perché, se una volta il potere si esercitava “dall’alto”, ora opera anche “dal basso”, e con una potenza di fuoco micidiale grazie ai social network. Per non parlare di quanto la libertà d’informazione sia poi minacciata dalla concentrazione di organi d’informazione nelle mani di pochi uomini d‘affari, forti della “lezione Berlusconi”.

Come nel caso di Antonio Angelucci, ora deputato della Lega di Salvini ma già del Popolo delle Libertà, uomo d’affari di spicco nella sanità privata capitolina, proprietario de Il Tempo, Il Giornale e Libero (gli ultimi due ritenuti autentici killer mediatici da buona parte del giornalismo italiano).

Senza contare la famiglia Agnelli-Elkann, proprietaria del Gruppo Gedi di cui fanno parte Il secolo XIX, La Repubblica e La Stampa. O il costruttore Francesco Romano Caltagirone, editore de Il Messaggero, Il Mattino di Napoli, Il Gazzettino di Venezia e di una miriade di testate regionali. Gli imprenditori petroliferi Monti-Riffeser cui rispondono i direttori de Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione (giornali con sede rispettivamente a Milano, Bologna e Firenze).

E infine Urbano Cairo, azionista di maggioranza RCS nonché patron de La7, canale televisivo che raggruppa il gotha del panorama giornalistico italiano. Va da sé che il giornalismo sia diventato un mezzo “per difendere interessi estranei a quelli strettamente editoriali” come scrive Giovanni Valentini, “per fare business, ottenere favori, concessioni o licenze. E più si rafforzano le concentrazioni, in questo campo, sempre meno si salvaguardano la conoscenza, il confronto, la libertà d’opinione e quindi la democrazia”.

Il ruolo della Rai

In questo quadro la RAI, l’azienda radiotelevisiva di Stato con lontane velleità di servizio pubblico, “si rifugia nella programmazione di fiction e talk show senza riuscire a distinguersi per la qualità della sua offerta; restia a puntare sull’approfondimento e sul giornalismo d’inchiesta – tranne qualche rara eccezione, come Report di Sigfrido Ranucci o Petrolio di Duilio Giammaria – per esser più competitiva nei confronti della tv commerciale. E appena può, emargina o espelle i migliori professionisti dell’informazione televisiva che è pur sempre il suo core business, la sua stessa ragion d’essere”.

Giovanni Valentini, Il romanzo del giornalismo italiano
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