La svolta nazional-populista del Portogallo

Luís Montenegro, leader di Alleanza democratica, la coalizione di centro-destra

Luís Montenegro, leader di Alleanza democratica, la coalizione di centro-destra

di Antonio Facchin

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Sarà il governo più frammentato della storia democratica portoghese quello che si prepara a governare dopo i risultati delle elezione del 10 marzo scorso. Perché alla vittoria di misura (cioè per un punto percentuale) di Alleanza democratica, una coalizione di centro-destra guidata dal Partito socialdemocratico, ha fatto seguito l’avanzata di Chega, il partito espressione della destra nazionalista; con cui il vincitore si rifiuta di governare.

André Ventura, leader di Chega, espressione della destra nazionalista portoghese
André Ventura, leader di Chega, espressione della destra nazionalista portoghese

“Basta” (significato di Chega) si è affermato con un 18% abbondante di consensi, raddoppiando quelli del 2022, aggiudicandosi così 48 seggi in Parlamento. Partito di orientamento nazionalista, populista, euroscettico e ultraconservatore, fondato nel 2019 dal “poliedrico” (così Stefano Boldrini ne delinea un ritratto sul Fatto Quotidiano) nonché cronista sportivo André Ventura che, sfruttando la sua popolarità, si era candidato alle elezioni europee del 2019 raccogliendo l’1,6% di voti: percentuale insufficiente a reclamare alcun seggio. Alle presidenziali in patria dello stesso anno un seggio lo ottenne, ma con una percentuale addirittura inferiore. Di lì tuttavia iniziò a salir di consenso, fino al 7,3% nel 2022: percentuale utile a coprire 12 seggi. Nel frattempo Chega non ha solo raggiunto un milione di voti, ma la loro distribuzione uniforme su territorio nazionale comproverebbe, come il Post riferisce, anche indubitabili progressi strutturali. Quella che tuttavia – a una settimana dalla chiusura delle urne – Ventura avrebbe definito la fine del bipartitismo in Portogallo, ai più sembra la premessa di un governo a dir poco debole, che inaugura un periodo di ingovernabilità e incertezza.

L’ascesa del populismo portoghese

In Portogallo l’estrema destra non aveva finora avuto una presa significatica sull’opinione pubblica, a differenza di altre nazioni europee. Se non dopo le dimissioni del primo ministro uscente, il socialista António Costa, travolto da un’indagine per corruzione, che ha costretto i portoghesi a un voto in anticipo di 2 anni tra il malcontento nei confronti dei partiti di maggioranza (il caso di corruzione di Silva non è stato l’unico nel mondo politico); cui si è sommata la crisi economica con le sue ripercussioni sul mercato immobiliare, lavoro e sanità. Tutti fattori che hanno favorito Chega in una campagna elettorale ispirata a personaggi come Trump, Bolsonaro, Marine Le Pen. Diffondendo populismo infarcito di slogan su criminalità, decoro, sicurezza, pressione fiscale e malagestione; cavalcando il malcontento xenofobo, razzista e l’intolleranza religiosa; diffondendo misinformazione sui social media; raggiungendo così gli elettori più giovani, ma non l’ampio bacino dell’astensionismo (33,7%), secondo un copione che conosciamo. Con l’aggravante dell’assenza di leadership femminile.

Pedro Nuno Santos, candidato del Partito socialista, sconfitto dopo 8 anni di presidenza
Pedro Nuno Santos, candidato del Partito socialista, sconfitto dopo 8 anni di presidenza

L’immagine di copertina è di Patricia De Melo Moreira / AFP

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